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Il 2 maggio 1519 moriva ad Amboise, in Francia, a 67 anni, l’artista, architetto, inventore ma anche botanico e musicista, nato nei pressi di Firenze. I Musei vaticani  oggi lo hanno celebrato con la presentazione del restauro dell’arazzo ispirato alla sua “Ultima” Cena di Milano e con la mostra gratuita del “San Girolamo” in corso in piazza San Pietro

La morte di Leonardo da Vinci, il 2 maggio del 1519, giusto 500 anni fa, a 67 anni, nel castello di Clos-Lucé a Cloux, che dominava dall’alto la città di Amboise, dove viveva da due anni, ospite del re di Francia, si racconta che provocò il pianto disperato dello stesso Francesco I, che lo aveva onorato con il titolo di “premier peintre, architecte, et mecanicien du roi”, con una pensione di 5mila scudi. L’ “uomo universale” del rinascimento italiano, artista, architetto, inventore ma anche botanico e musicista, era nato il 15 Aprile 1452 ad Anchiano, frazione di Vinci, piccolo paese vicino Firenze, figlio illegittimo del notaio ser Piero e Caterina, donna di umili origini.

GLI ULTIMI ANNI IN FRANCIA, OSPITE DEL RE FRANCESCO I

E il re di Francia Francesco I, sovrano colto e raffinato, amante dell'arte soprattutto italiana, come dimostrò anche negli anni successivi accogliendo con onori altri artisti, gli permise di vivere in serenità gli ultimi anni di vita, assistito dai due fedeli allievi. Sebbene indebolito dalla vecchiaia e da una probabile trombosi cerebrale che gli paralizzò la mano destra, Leonardo poté continuare con passione e dedizione i propri studi e le ricerche scientifiche. Progettò così la residenza reale di Romorantin, che era una vera e propria cittadina, prevedendo addirittura lo spostamento di un fiume.

AI FUNERALI VOLLE FOSSERO PRESENTI 60 POVERI

Il 23 aprile 1519 il genio fiorentino redasse il testamento davanti al notaio Guglielmo Boreau, alla presenza di cinque testimoni e dell'inseparabile allievo Francesco Melzi, dispose di voler essere sepolto nella chiesa di San Fiorentino, con una cerimonia funebre accompagnata dai cappellani e dai frati minori oltre che da sessanta poveri, ciascuno reggente una torcia; richiese la celebrazione di tre messe solenni, e di trenta messe "basse", a San Gregorio, a Saint-Denis e nella chiesa dei francescani. A Francesco Melzi, esecutore testamentario, lasciò “li libri [...] et altri Instrumenti et Portracti circa l'arte sua et industria de Pictori”, oltre alla collezione dei disegni e del guardaroba; al servitore De Vilanis e al Salaì la metà per ciascuno di “uno iardino che ha fora de le mura de Milano nel quale iardino il prefato Salay ha edificata et constructa una casa”; alla fantesca Maturina dei panni e due ducati; ai fratellastri fiorentini il suo patrimonio nella città toscana, cioè 400 scudi depositati in Santa Maria Nuova e un podere a Fiesole.

UN GENIO UNIVERSALE, OLTRE I CONFINI DELLO SPAZIO E DEL TEMPO

Non furono certamente solo questi i frutti della vita di un genio che sentiamo quasi contemporaneo. Le inesauribili intuizioni che animarono e definirono la sua attività, le continue e costanti proiezioni oltre i limiti della sua contemporaneità, sono elementi che vanno al di là delle semplici coordinate spaziali e temporali, l’Italia e la Francia dei secoli  XV e XVI in cui operò.

L' ARAZZO DELL'ULTIMA CENA RESTAURATO DAI MUSEI VATICANI

I Musei Vaticani celebrano l’anniversario presentando il restauro dello splendido arazzo ispirato all’Ultima Cena di Leonardo che si può ammirare nell'ex-refettorio rinascimentale del convento adiacente al santuario di Santa Maria delle Grazie a Milano. Dopo un anno e mezzo di restauri nei laboratori dei Musei Vaticani, appaiono molto più nitidi i colori dell’arazzo, tessuto interamente in seta, che fu realizzato fra il 1505 e il 1510 su commissione di Luisa di Savoia e di Francesco Duca d’Angouleme, che sarebbe diventato poi Francesco I. Tessuto probabilmente in Fiandra su cartone di un artista lombardo, rappresenta una delle primissime copie del capolavoro di Leonardo, realizzata per soddisfare le esigenze della corte francese che intendeva portare con sé l'immagine di un'opera che non poteva in alcun modo essere trasportata. Donato nel 1533 a Papa Clemente VII, l’arazzo fece ritorno in Italia e da allora non è mai uscito dai Musei Vaticani.

IL DIRETTORE: LE STESSE DIMENSIONI DEL CENACOLO MILANESE

Il direttore dei Musei Vaticani Barbara Jatta ricorda che “Il restauro appena terminato ha testimoniato che sicuramente l’arazzo è da ascrivere alla committenza di Francesco I e quindi sicuramente ad un periodo compreso fra il 1516 e il 1533, quando lo stesso regnante lo dona a Clemente VII e quindi arriva in Vaticano. Sostanzialmente le figure hanno le stesse dimensioni e l’intero arazzo ha le stesse proporzioni e dimensioni del Cenacolo milanese”

*Città del Vaticano

 

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