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È con una prospettiva sincera e insolita che il docufilm “Sacerdoce”, uscito ieri nelle sale cinematografiche francesi, racconta la storia di quattro sacerdoti in Francia e di un sacerdote missionario francese nelle Filippine.

 

 

“Il mondo ha bisogno di essere confortato, incoraggiato e, in effetti, questo è il Vangelo. Il Vangelo non è innanzitutto una teoria, è concreto”. Guardare all’umanità di questi preti con sorpresa, man mano che le storie avanzano, fa comprendere come la figura del sacerdote, al di sopra della mischia, intermediario tra Dio e gli uomini, è un luogo comune che viene evitato dalla nuova generazione di seminaristi che vedono il loro sacerdozio piuttosto come un servizio agli uomini, umile ad immagine di Cristo.

Tutti con il loro stile, le loro lotte, la loro schiettezza o la loro poesia, narrano il loro modo di seguire Cristo nel XXI secolo, il loro cammino personale, il loro radicalismo, la loro fragilità e le lotte invisibili che affrontano, la loro desolazione nelle loro chiese vuote, la vergogna delle questioni morali, la loro disconnessione dal resto della società e i bisogni reali dei parrocchiani.

Come un confessionale invertito, parlano senza filtri, con autenticità, della fede che li muove, dei loro dubbi ma anche dei miracoli di cui sono testimoni. Questi sacerdoti sono soprattutto uomini comuni che dicono di aver risposto a una chiamata straordinaria: quella del sacerdozio, della responsabilità del sacro.

 

 

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