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Stiamo celebrando in questi giorni l’anniversario del Milite Ignoto. Un anniversario che ci riguarda da vicino considerato il fatto che le nostre terre sono state campo di battaglia della terribile prima guerra mondiale e che proprio qui, come è noto, è stata scelta la salma che doveva rappresentare le centinaia di migliaia di giovani caduti in quella che papa Benedetto XV aveva definito, inascoltato, una “inutile strage”.

 

 

 

Sono passati 100 anni: una distanza di tempo che da una parte ci invita a ricollocare l’avvenimento in un preciso contesto storico ormai lontano da noi e dall’altra ci permette una considerazione più ponderata e saggia del suo significato. Senza alcuna pretesa di tentare qui una ricostruzione storica di quell’evento - non ne ho né lo spazio, né prima ancora la competenza - penso si possa sottolinearne una duplice valenza. La prima è stata certamente quella di una celebrazione degli “eroi” artefici della vittoria italiana, spesso appunto sconosciuti e senza nome (“cimitero degli eroi” è chiamato quello che si trova dietro la basilica di Aquileia). La seconda, quella di una grande e corale elaborazione di un lutto nazionale, un pianto di madri, di mogli e di sorelle ma anche di padri e di fratelli che ricordavano i 600.000 soldati italiani morti, spesso molto giovani, nella grande guerra.

Il primo aspetto ci riporta al periodo turbolento del primo dopoguerra, in un paese distrutto in una sua parte significativa (il nord est terreno di confronto tra gli eserciti), con una forte crisi economica, moltissimi disoccupati (spesso gli stessi uomini tornati dal fronte), in preda agli scioperi, caratterizzato dalle velleità rivoluzionarie di chi si ispirava alla rivoluzione russa, dagli attentati di gruppi di anarchici e dalla spregiudicata violenza del nascente fascismo, e con forti istanze nazionalistiche (le rivendicazioni per la vittoria “mutilata”) e interventiste (proseguite con l’avventura di Fiume iniziata da D’Annunzio qui da noi proprio a Ronchi). Tutt’altro che un periodo di pace se, giustamente, la più recente storiografia porta a considerare le due guerre mondiali come un unico evento. Anni, quindi, di tensioni e di crescita delle ideologie che avrebbero segnato tragicamente il destino dell’Europa e con le due guerre decretato il suo declino di cui ancora oggi siamo spettatori.

L’aspetto della elaborazione del lutto, invece, ci ricorda che ogni guerra porta con sé morti e lutti che incidono profondamente negli affetti di famiglie, comunità e paesi. Impressiona il fatto che in ogni comune d’Italia, anche quello più remoto rispetto al fronte orientale in cui erano chiamati a combattere o, meglio, mandati a morire giovani che mai avevano sentito parlare di Isonzo, di Gorizia, di Carso, ci sia sempre un monumento ai caduti della prima guerra mondiale con una lunga teoria di nomi (e spesso il monumento era stato poi tragicamente aggiornato con l’elenco dei caduti della seconda guerra mondiale). Ma ogni nazione della terra ha i suoi “militi ignoti”, perché purtroppo nessuna è preservata dalla calamità della guerra. Preferirei però chiamarli caduti conosciuti solo da Dio, perché per Lui non ci sono persone ignote, ma solo figli (e figlie) da avvolgere comunque con il mantello della sua misericordia: per loro ha mandato suo Figlio a morire sulla croce.

L’occasione di questo anniversario, lungi dall’essere un’anacronistica celebrazione di carattere nazionalistico, dovrebbe pertanto essere un rivivere un grande lutto della nostra nazione, ma anche di tutte le nazioni sorelle (anche se allora viste come avversarie: nei loro eserciti, per altro, hanno militato anche i nostri giovani), un lutto purtroppo sempre attuale finché ci sarà la guerra.

Papa Francesco in quell’indimenticabile giornata di settembre del 2014 a Redipuglia aveva iniziato la sua omelia dicendo: “Dopo aver contemplato la bellezza del paesaggio di tutta questa zona, dove uomini e donne lavorano portando avanti la loro famiglia, dove i bambini giocano e gli anziani sognano… trovandomi qui, in questo luogo, vicino a questo cimitero, trovo da dire soltanto: la guerra è una follia”. Finché ci sarà quella follia, ci saranno uomini e donne, bambini e anziani che invece di lavorare, giocare e sognare potranno solo piangere. Come avevano fatto 100 anni fa quelle folle di uomini, donne, bambini e anziani che avevano accompagnato da Aquileia a Roma la salma del Milite Ignoto. Che il Signore non disperda quelle lacrime e le lacrime che hanno accompagnato ogni guerra, ma le trasformi con la sua Pasqua nel sorriso della risurrezione. È la nostra speranza, è la nostra preghiera. Requiescant in pace.

*arcivescovo di Gorizia

 

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