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Si è svolto l’altra sera a Lecce il convegno “Ripensare Camaldoli?” organizzato dalla comunità claustrale del Monastero delle Benedettine ‘San Giovanni Evangelista’, dall’Issrm ‘don Tonino Bello’ di Lecce, dall’Azione cattolica diocesana e da Fidapa Bpwm Italy Lecce.

 

 

L’incontro, volto a comprendere quali sfide affida alla collettività il Codice di Camaldoli elaborato nel ’43 da giovani cattolici impegnati nella politica e nella cultura, ha visto la partecipazione di autorevoli esponenti delle istituzioni quali gli onorevoli Domenico Amalfitano e Luciano Azzolini, e i teologi don Antonio Bergamo e don Alessandro D’Elia.

“Camaldoli come progetto per il futuro”: con queste parole Achille De Nitto, moderatore della tavola rotonda in servizio presso la Corte Costituzionale, ha introdotto la serata dopo i saluti introduttivi della comunità monastica benedettina leccese.

Si è ricordata l’azione e la visione profetica dei firmatari del Codice di Camaldoli, azione che ha portato, ha sottolineato l’on. Amalfitano, alla creazione di una paideia, una cultura che avrebbe innervato il vivere, il pensare e il sentire civico, politico, spirituale del Paese all’indomani della guerra e della dittatura fascista.

Perché un convegno su un documento che ha ispirato la nostra Costituzione? Per ribadire, ancora oggi, ha affermato l’on. Azzolini, il valore della testimonianza. Per continuare a porsi una domanda fondamentale: è possibile ancora oggi immaginare il futuro? “Se nel 1943 quei giovani hanno immaginato il futuro nel contesto di allora, è possibile esplicare lo stesso esercizio creativo e politico nell’attuale contesto?” La risposta per Azzolini è negativa in quanto mancano le condizioni prime perché l’impegno per la costruzione di una società giusta possa darsi. “Mancava, e manca forse ancor di più oggi - ha chiosato uno dei relatori - la vera testimonianza cattolica”.

Dello stesso parere De Nitto che ha affermato che occorre prendere atto della persistente e pervasiva “abitudine al disimpegno, alla pigrizia che danno l’illusione di essere ricchi per sempre. È chiaro però che ricchi non lo si può essere per sempre”.

Il Codice di Camaldoli, però, non rappresenta soltanto una carta di fondamentale importanza per l’agire politico e civile ma contiene al suo interno importanti espressioni che afferiscono all’esperienza e alla riflessione teologica che si pone così in uno stretto e fecondo connubio con la politica. In tal senso allora sono da intendersi le dichiarazioni di don Bergamo, direttore dell’Issrm di Lecce e teologo, che ha rimarcato le sintonie dell’attuale contesto storico e socioculturale con quello nel quale ha avuto origine il Codice di Camaldoli. Ha sottolineato il teologo: “Una su tutte è la costante presenza di conflitti armati che, come affermava Lévinas, sospendono la morale e la lacerano, inducono interi popoli a chiudersi nel recinto dell’autoreferenzialità e dell’aggressività, aumentando le polarizzazioni”. Non è nemmeno scontato che oggi un’ulteriore importante sfida sia rappresentata dalla pervasiva presenza delle tecnologie digitali che se non poste nel loro giusto alveo e utilizzate secondo una giusta etica possono disumanizzare e sopprimere l’incontro, il luogo dove la vita accade e si manifesta nella sua verità.

“Quale contributo può provenire dalla teologia per la costruzione di un cantiere di socialità? Perché proprio da Camaldoli?”. “Ripartire dalle radici teologiche dell’esperienza di Camaldoli - ha chiosato Bergamo - significa riconciliarsi con la consapevolezza che se il Codice ha generato una cultura politica, oggi il mistero dell’Incarnazione ci invita a costruire una cultura trinitaria che in noi genera l’incontro” Ecco allora il salto da fare a tutti i livelli: “Passare dall’identitarismo alla comunionalità delle forme che entrano in gioco. Recuperare la memoria generativa vivendo con equilibrio, discretio, il valore della prossimità come giustizia sociale. L’incarnazione ci dice che possiamo generare in noi quella compassione che faccia prendere corpo a progetti di vita e di comunità”.

Ecco il grande impegno che ci consegna Camaldoli, ha concluso il teologo: “Sentire l’altro senza semplificarlo nell’astrazione in quanto tutti gli esseri umani sono legati dalla carne di Dio che ci interpella nel grido del prossimo. Rigenerare, accompagnare, sostenere: ecco il cammino ereditato dal Codice di Camaldoli”.

Sono giunte ficcanti e illuminanti le provocazioni di don Alessandro D’Elia il quale ha affermato che far politica significa immergersi nel mistero di Dio che prima di noi si è fatto vicino all’umanità incarnandosi e immergendosi così nella storia umana. La politica, ha continuato il prof. D’Elia, è fare teologia con le mani perché essa è servizio dell’uomo e della donna, immagine di Dio.

“L’esempio di don Tonino Bello - ha rimarcato D’Elia - ci indica la direzione: non farci estranei all’uomo, alle sue brutture ma sentirlo come carne della propria carne da amare, coltivare e far vivere”. “Questa è la politica - ha concluso -, il farsi carne del mistero di Dio nella nostra storia, soprattutto in quella umanamente irrecuperabile”.

 

 

 

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