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Erano in tantissimi ieri sera in cattedrale ad attendere il “Gloria” della Risurrezione del Signore. Una partecipazione silente e orante alla Veglia Pasquale presieduta dall’arcivescovo Michele Seccia.

 

 

Hanno concelebrato il vescovo Cristoforo Palmieri, il vicario generale don Vito Caputo, il canonico e vicario episcopale mons. Nicola Macculi e il segretario arcivescovile don Andrea Gelardo e don Salvatore Corvino. Ha assistito all’altare il diacono Mario Renna. Il servizio liturgico è stato prestato dai seminaristi della diocesi guidati dal maestro delle cerimonie episcopali, mons. Giancarlo Polito.

L’omelia (LEGGI IL TESTO INTEGRALE) ha preso le mosse dal racconto evangelico e dalla domanda che angosciava le donne che di buon mattino si recavano al sepolcro per l’ultimo saluto al Crocifisso: chi le avrebbe aiutate a rimuovere il masso che chiudeva l’ingresso? “È una domanda ricca di umanità - ha detto l’arcivescovo -. Carica di dubbi legittimi. Soprattutto appesantita dalla paura non solo per i fatti accaduti negli ultimi giorni ma ricolma soprattutto di quell’insicurezza umana che spesso, anche per noi, si scontra con le ragioni e con gli occhi della fede”.

E ha proseguito: “Quegli occhi che per le donne di lì a poco si sarebbero aperti per miracolo davanti al sepolcro vuoto. Loro cercavano un morto che non avrebbero mai trovato. Il masso, infatti, era ormai rotolato, insufficiente a trattenere l’irruenza e la forza della vita del Cristo risorto. E - guarda un po’ - quel masso, come un macigno opprimeva, invece, la memoria di quelle donne e oscurava - come una barriera insormontabile - il loro sensus fidei”.

Quanti macigni ci portiamo dentro e ci opprimono fino a stremarci? – si è chiesto Seccia -. Sono quei macigni che tante volte ci dividono e ci tengono lontani dal vedere con i nostri occhi quel Gesù che - avendo abbandonato nel sepolcro i panni sporchi di sangue e di sputi - ora vive e cammina con noi.  A volte sono macigni troppo grandi rispetto alle nostre forze e alla nostra naturale fragilità ma per incontrare il Risorto è necessario spostarli, rimuoverli, se necessario, frantumarli. Un’impresa impossibile per chi vuole avventurarsi in totale solitudine facendo leva soltanto sulle proprie forze. Da soli non ce la faremo mai: solo il Risorto può venire in nostro aiuto”.

Infine, l’appello per la pace: “I nostri macigni resteranno immobili al loro posto e la nostra storia personale non farà mai più i conti con la Risurrezione che, invece, apre le nostre vite a prospettive soprannaturali: in essa è vinta la morte, quella morte che chiude - come il più enorme dei macigni, come una vera e propria pietra tombale - la storia di ogni persona. Siamo pronti a credere? Siamo pronti ad andare? Siamo pronti ad annunciarlo? Abbiamo il coraggio di dare una mano al Risorto a costruire la pace? Lo sentiremo più volte in questi giorni il saluto del Risorto: ‘Pace a voi’. Ripetiamolo anche noi a cominciare da stasera insieme al consueto “Buona Pasqua”: “Pace a te, pace a voi” e facciamo in modo che la nostra pace raggiunga le nostre famiglie, i nostri amici e i nostri nemici, raggiunga i poveri, raggiunga gli anziani e gli ammalati, raggiunga i giovani e i bambini”.

“Sarà la nostra ‘catena del Signore Risorto’ - ha concluso - che porta la pace nelle città e nei Paesi dove la guerra distrugge, a poco a poco, quei residui di umanità che ancora resistono sotto il fuoco delle armi”.

 

Racconto per immagini di Arturo Caprioli

 

 

 

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