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La Pasqua è una festa mobile e si celebra la prima domenica dopo il plenilunio che segue l’equinozio di primavera, secondo la decisione del Concilio di Nicea (325), confermata dal Concilio di Trento (1546-1563).

 

 

Pertanto è una ricorrenza che si basa su una fase della luna che regola la scansione sia delle feste mobili precedenti la Pasqua, come Le Ceneri, la prima domenica di Quaresima, la Domenica di Passione, la Domenica delle Palme, sia di quelle successive, come l’Ascensione, la Pentecoste, la SS. Trinità e il Corpus Domini.

Nel mondo contadino le fasi lunari governano l’avvicendarsi ciclico del tempo, forniscono informazioni meteorologiche, influenzano la vegetazione e danno indicazioni sulle diverse colture. Così alla luna crescente si associava ciò che spingeva alla crescita, alla luna calante ciò che disponeva alla conservazione.

La data della Pasqua può variare dal 22 marzo al 25 aprile, come recita un proverbio panitaliano: Di marzo ai ventidue / vien la Pasqua più bassa; / d’aprile ai venticinque / ci arriva e mai li passa.

Nel Salento si usava dire: nu trase Cristu allu sabburcu ci nu e’ quintatècima te marzu, letteralmente “non entra Gesù Cristo nel sepolcro se non è la quinta decima di marzo”, ossia non arriva il plenilunio successivo all’equinozio di primavera. La Pasqua che cade a marzo dà tristi presagi: Pasca marzòteca: o morte o famòteca, “Pasqua marzolina: o morte o carestia”. Essa si può presentare con gelate che sono assolutamente nocive per la campagna. Se la Pasqua cade il 25 aprile è considerata infausta. In ogni caso, sia che cada a marzo o aprile si dice che la Pasqua non cade mai di maggio perché Gesù Cristo promise al diavolo di liberarlo “quando la Pasqua cascherà di maggio”.

Secondo un detto popolare a Pasqua la fica nu fila e nu tesse, ma te Pasca estuta esse, “l’albero del fico non fila e non tesse, ma di Pasqua esce vestito”, ossia si riveste di foglie.

Il giorno di Pasqua vi era l’usanza che sia il villano sia i benestanti dovessero indossare gli abiti della festa o un abito “nuovo: de la strina se mmuta la ricina, de la Bifania se mmuta la signuria, de Pasca e de Natale se mmùtane le furnare, di Capodanno si cambia (d’abito) la regina, della Befana si cambiano i signori, di Pasqua e di Natale si cambiano le fornaie…”  si no, te pìsciane li cani, “altrimenti ti pisciano i cani”.

L’espressione ma nu sempre ete Pasca era un monito con cui si ricordava che i giorni lieti sono fugaci e che il piacere è eccezione e non regola di vita.

Per la civiltà contadina del passato, il calendario liturgico si intrecciava con quello civile e, talvolta, predominava. Il contadino era abituato ad indicare non il giorno e il mese, ma il nome del santo ricorrente o le celebrazioni liturgiche più importanti. Da quell’abbinamento è scaturita una piccola raccolta orale di proverbi e modi di dire che sintetizzavano e memorizzavano l’avvicendarsi delle stagioni, dettavano le previsioni meteorologiche, ricordavano i tempi di semina e di raccolto, di festa e di lavoro.

In occasione della Pasqua la previsione del tempo meteorologico ha dato origine ad alcuni pronostici, per la gran parte convergenti all’esito del raccolto di frumento. Secondo la tradizione popolare, la tenuta del giorno di Pasqua, per esempio, si può prevedere già la Domenica delle Palme. In ogni caso, alcuni pronostici di uso comune recitano: Natale lucente e Pasca scurente se uei tte egna bona la samente, “Natale luminoso e Pasqua buia se vuoi che venga bene la semina e avere un buon raccolto”; se uei cu begna nna bona annata, Natale ssuttu e Pasca mmuddhrata, “se vuoi che venga un buon raccolto, Natale asciutto e Pasqua piovosa”. Viceversa se la Pasqua ricorre a marzo è foriera di tristi presagi: Pasca marzoteca o morte o famoteca, “Pasqua marzolina o morte, ossia porterebbe disgrazie o fame presagendo cattivo raccolto (di frumento)”.  In occasione della Pasqua era invocata dal contadino la benefica pioggia, che fosse “alta” o “bassa”, per avere più uva che frasca!

Una serie di adagi pan-italiani recita: “Se piove su l’ulivo, no piove sui ovi”, se piove il giorno delle Palme, non pioverà a Pasqua. E viceversa, ovviamente. “Pasqua di fango, covone pesante”, “Tra Pasqua e Pasqua non c'è vigilia”, “Tanto si parla della Pasqua che alla fine arriva”; “Pasqua tanto desiata in un giorno è già passata”; “L'agnello è buono anche dopo Pasqua”; “Natale senza danari, Carnevale senz'appetito, Pasqua senza devozione”.

 

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