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La Domenica delle Palme celebra l’entrata di Gesù a Gerusalemme, accolto dalla popolazione con rami di palma, con i quali la folla lo acclamava Gesù, Messia, e re di Israele. Successivamente la Chiesa considerò la palma simbolo della vittoria di Cristo e di tutti coloro che avrebbero subito il martirio. 

 

 

A Lecce, il sabato precedente alla citata domenica, si svolge l’annuale Fiera di San Lazzaro, caratterizzata ormai dalla vendita di ogni genere di merce (abbigliamento, casalinghi, dolciumi, etc.), ma, prevalentemente, di palme, intrecciate dalle abili mani di chi riesce a ricavare semplici croci o panierini, secondo l’estro. In alternativa si trovano rami d’olivo da fare benedire la domenica successiva. Ormai rarissime sono le trénule, raganelle, e le marange, arance amare.  In passato i giovani regalavano alle fidanzate una maràngia, con il sottinteso invito ad accogliere la proposta d’amore per l’intrinseco valore simbolico. Pare che l’arancia sia simbolo di fecondità. Strano che questo frutto fosse delegato a inviare un messaggio ‘poetico’, tenuto conto del sapore amaro, confermato da questa locuzione: maràngia, ci la chianta nu nde mangia, “marangia, chi la pianta non ne mangia”.

La trénula, raganella o bàttola, è uno strumento formato da una ruota dentata montata su un pezzo di legno che serve da manico, intorno al quale è fissato un telaio con una lamina; agitando il manico, la lamina striscia contro i denti della ruota producendo un suono simile al gracidare delle raganelle. Essa ricorda il crepitaculum, crepitacolo, che produce un suono secco, simile a un crepitio; questo aggeggio è usato in sostituzione delle campane durante la Settimana Santa. Vi è un modo di dire, ironico e per nulla irriverente, riferito a donna particolarmente ciarliera o, meglio, che sembra aver smesso di parlare e subito riprende: me pare nna trénula, mi sembra una bàttola.

Il rione leccese di San Lazzaro, una cinquantina d’anni fa, era comunemente indicato lu Sannà, denominazione antichissima. Quasi di fronte alla chiesa di San Lazzaro si trova una colonna innalzata nel 1682, opera attribuita al maestro muratore Giuseppe Bruno, sormontata dalla statua in pietra raffigurante il santo; la colonna originariamente era situata al centro del piazzale antistante la chiesa e, per sopravvenute esigenze di traffico, fu collocata dov’è attualmente.

Un affresco con la raffigurazione di San Lazzaro si trova nel tempietto intitolato a Santa Maria di Leuca del Belvedere (prima metà del XVII secolo), fuori l’abitato di Barbarano (frazione di Morciano di Leuca), nella contrada denominata Leuca Piccola.

Da qualche anno, si è ripresa l’usanza che il venerdì o il sabato precedente la Domenica delle Palme un gruppo di adulti, accompagnandosi con chitarre, fisarmoniche e tamburelli, di andare a cantare lu santu Làzzaru, “il santo Lazzaro”, girando per le vie del paese e fermandosi presso le abitazioni delle famiglie conosciute. In cambio dell’esecuzione di un canto dal tono lamentevole, contenente diversi episodi del martirio di Cristo, il gruppo chiede regali in natura: formaggio, olio, vino e prevalentemente uova da conservare, in vista dell’imminente confezione dei tradizionali cibi e dolci pasquali. Entrambe le esecuzioni popolari risalivano ad antichi riti di epoca romana, se non addirittura preromana, quando vigeva la consuetudine di andare a primavera in un bosco, raccogliere ramoscelli, recarsi presso ogni casa, bussare e, accompagnando il gesto con canti festosi, donare il ramoscello chiedendo in cambio doni.

La liturgia della Domenica delle Palme, che accomuna tutta l’Italia con la benedizione dei rami d’ulivo o delle palme, trova motivi di distinzione in alcuni centri del Salento, dove sopravvive il rito della benedizione che, in passato, avveniva dinanzi al Sannà. Sannà è corruzione della nota invocazione ebraica hoshi ‘ah-nnà, che vuole dire “soccorrici!, salvaci!”, conosciuta anche come Osannà, termine entrata nella liturgia cristiana, nel Sanctus della messa e nella ufficiatura della Domenica delle Palme, per celebrare l’ingresso trionfale di Cristo in Gerusalemme.

Quando arrivava la Domenica delle Palme, nel Salento si usava dire: la uce, la cruce, le Parme: pasta e carne, “la voce, la croce, le Palme: pasta e carne”; era un modo con cui si richiamavano quei cibi che tornavano sul desco, dopo la lunga astinenza della Quaresima. In alternativa si diceva: dumìneca su’ le Parme, l’àutra dumìneca pasta e carne, domenica sono le Palme, l’altra domenica pasta e carne.

 

 

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