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Alla vigilia del suo ingresso a parroco nella chiesa matrice di Novoli, abbiamo incontrato don Stefano Spedicato. Qualche domanda per conoscere meglio il prossimo arciprete della comunità: le emozioni, i ricordi e i progetti futuri che lo stanno accompagnando in questi giorni di attesa.

Don Stefano, il 15 settembre è alle porte: ad attenderti una comunità entusiasta e pronta ad accoglierti. Come ti senti?

Emozionato sicuramente. L’attesa è sempre la cosa più forte da viversi: se c’è una fatica è proprio quello di vivere il tempo dell’attesa. Però ricordo pure che attendere vuol dire “tendere verso”, avere una direzione verso la quale andare. Sono sereno, perché anche in questa esperienza, la mia vita sta procedendo verso un fine che Dio ha provveduto per me.

Con l’ingresso a parroco nella matrice di Novoli, si conclude l’esperienza come rettore del seminario minore di Lecce. Qual è quella parte di tempo vissuto insieme ai ragazzi che porterai con te e a cui penserai sorridendo?

Ricorderò tutto con il sorriso, ma su questo vorrei aggiungere una cosa: prima di vivere la mia esperienza come rettore del seminario, pensavo che essere prete significasse essere parroco. In questi otto anni, ho scoperto che essere prete significa anche altro. Significa condividere 24 ore su 24 la tua vita, la tua storia, con dei ragazzi sui quali investi. Significa vivere in modo familiare il quotidiano. Se c’è, quindi, un momento che porterò con me, è certamente quello della convivialità: la cena, ad esempio, era il tempo in cui ci si raccontava, si conosceva la storia di ognuno e questo era bellissimo.

Quando il vescovo mons. Michele Seccia ha scelto per te Novoli come comunità, cosa hai pensato. Te l’aspettavi?

Il vescovo ad un certo punto di quest’anno mi ha chiesto una disponibilità. «Ti piacerebbe tornare a fare il parroco?» mi ha detto durante un colloquio. Io ho dato subito il mio assenso, alla luce del fatto che il mio essere prete lo vivo sforzandomi di fare la volontà di Dio, volontà che oggi si esprime mediante il vescovo Michele. «Qualsiasi cosa lei mi chiederà io ci sono» ho subito risposto. Certo, in quella domanda il vescovo non mi aveva ancora parlato di Novoli, ma appena mi ha detto di Novoli, dopo qualche tempo, ne sono stato felice.

In realtà la parrocchia Sant’Andrea Apostolo ti ha già accolto nel lontano 1999. Hai vissuto a Novoli per due anni come diacono insieme a Don Flavio De Pascali, allora arciprete della comunità. Torni dopo 17 anni: come pensi di ritrovare il paese?

Sono molto affezionato alla comunità di Novoli, perché ci sono arrivato appena finito il tempo di formazione in seminario. Si dice “il primo amore non si scorda mai”, effettivamente io non ho mai dimenticato Novoli. È una realtà rimasta nel ricordo, nella mie preghiere ed anche nelle persone con le quali ho continuato un rapporto di amicizia e affetto. Certo, 17 anni sono tanti, troverò molto di diverso, come sono diverso anch’io. È la legge del tempo che scorre. Proverò a mettermi in ascolto della realtà.

 Hai già pensato ad un brano del Vangelo che possa farti da guida durante il tuo ministero parrocchiale?

Quando il vescovo mi ha detto la parrocchia che mi avrebbe accolto, la prima cosa che ho fatto è stato pregare per quella porzione di popolo che il Signore mi avrebbe affidato. Successivamente, sempre nella preghiera, mi sono imbattuto nella meditazione del brano del vangelo di Giovanni al capitolo 13 dove si racconta l’episodio della lavanda dei piedi. Nulla a che fare col significato dell’essere parroco nel senso stretto del termine, ma il versetto che mi ha colpito è il numero 4 dove l’evangelista dice: “Gesù si alzo, depose le vesti, prese un asciugatoio e se lo cinse ai fianchi”. Poi il brano continua raccontando come Gesù si mise a lavare i piedi ai discepoli. Ho subito capito: in questo momento della mia vita sono chiamato anch’io ad alzarmi, quindi a cambiare vita, a cambiare casa, abitudini. A deporre tutto quello che fino ad oggi ho vissuto, ho imparato, ho raggiunto. Quindi spogliarmi, come Gesù ha fatto, e cingermi semplicemente il grembiule del servizio spinto dalla consapevolezza di venire in “mezzo a voi come colui che serve”. Sarà questa pagina del Vangelo a guidarmi insieme al popolo che mi è affidato.

Avrai sicuramente fantasticato su quali possano essere le tue prossime “azioni-pastorali”. Non te le chiediamo tutte, ma quale sarà la prima.

Tutte le volte che in questo periodo mi è venuta la fantasia di pensare a qualche azione da fare, l’ho ributtata indietro. Se io vengo come colui che serve, la prima azione che vorrò fare è sicuramente quella di mettermi in ascolto. Non posso però non dire che una prima condivisione ho già vissuto: quella con i giovani. Nel mese di agosto abbiamo trascorso insieme il campo estivo. Poi ci sono due altri pensieri: sento forte il legame con la Chiesa del cielo. Per questo mi recherò al cimitero di Novoli e affiderò il mio ministero alla preghiera di quei fratelli e sorelle che non ci sono più e che già contemplano il volto di Dio. Un’altra cosa che farò certamente subito, sarà quella di andare ad incontrare gli ammalati ai quali porterò la benedizione del Signore e l’Eucarestia.

Un pensiero va a don Mimino: parroco che conclude il suo servizio per il raggiungimento dell’età pensionabile. Che ruolo avrà all’interno della comunità dopo il 15 settembre?

Di essere preti non si smette mai, quindi, ho chiesto da subito a don Mimino, al quale mi lega un affetto grande da anni, di rimanere nella nostra comunità come presenza. Sarà opportunità di comunione fraterna tra me e lui. Se la nostra è una famiglia allora don Mimino sarà per noi come un nonno. Sarà, usando le parole della Bibbia, il nostro vegliardo.

Ringraziamo don Stefano per la disponibilità e auguriamo a lui ogni bene, nella certezza che molto ce lo dirà lungo il tempo del suo operare.

 

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