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Sul territorio italiano ci sono molte realtà che nella propria identità e nella propria azione hanno inserito il paradigma dell’ecologia integrale. Sono realtà non profit e profit che perseguono obiettivi di inclusione sociale e creano lavoro per le persone fragili; svolgono attività produttive secondo metodologie sostenibili; realizzano buone prassi di economia circolare; recuperano e valorizzano territori e beni comuni.

 

 

 

Anche il giornalismo secondo la ricerca dei professori Paola Springhetti e Vittorio Sammarco, docenti dell’Università Pontificia Salesiana, curatori di questo libro edito Las, hanno fatto una ricerca sulle frontiere del giornalismo. I tradizionali criteri di notiziabilità che molte volte si studiano tra i banchi soliti delle lezioni di giornalismo premiamo elementi come la drammaticità, la fama, il conflitto, la spettacolarità eccetera. Tutti elementi assenti nelle notizie che possono nascere da queste esperienze, che rispondono invece ad altri possibili valori notizia: la cura per l’ambiente, la responsabilità per il bene comune, il rispetto dei diritti, la coesione sociale. In fondo, è il noto problema delle buone notizie che non fanno notizia.

È da notare che spesso si citano, tra le testate su cui si è avuto spazio, quelle cattoliche: “Avvenire”, TV2000, Radio in Blu, i settimanali diocesani, i quotidiani online e Italia Caritas. Una considerazione a parte va fatta sulla Rai regionale, che viene citata in diverse interviste come una delle poche testate locali sì, ma di rilievo, che ha dato spazio a queste esperienze: un segnale positivo della presenza del servizio pubblico sul territorio. Accanto al problema dei criteri di notiziabilità, si pone quello delle fonti. Il fatto che, quando gli enti organizzano un evento cui partecipano figure istituzionali, ottengano risonanza sui media, è probabilmente inevitabile, ma è anche espressione di un sistema dell’informazione ancora imperniato più sui luoghi di potere che sulla società civile: tema, questo, che meriterebbe una riflessione.

Insomma, ancora una volta torna il problema di come si esercita il mestiere di giornalista. In questo caso la scelta è tra un’informazione costruita in redazione, sulla base dei comunicati stampa che arrivano sui monitor, e una informazione fatta andandosi a cercare le storie, incontrando le persone e verificando le situazioni e vivendo il giornalismo in maniera free-lance e sempre sociale così come piace ai nuovi contesti che si aprono per evangelizzare e fare buona informazione.

 

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