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Sono i giorni dei Santi Patroni qui a Barletta, in cui in tanti dal Santuario dello Sterpeto alla città percorreranno a piedi un bel po’ di chilometri per accompagnare la Sacra Effige della Madonna dello Sterpeto fin dentro alla cattedrale di Santa Maria Maggiore, non prima di aver prelevato il busto argenteo di San Ruggero in vista dei festeggiamenti in programma il prossimo 13-14 e 15 luglio qui a Barletta.

 

Con immenso piacere quest’oggi pubblichiamo la chiacchierata avuta con il mons. Michele Seccia, oggi arcivescovo metropolita di Lecce, già vescovo nelle diocesi di Teramo-Atri e San Severo, originario di Barletta: “Un sacerdote, un vescovo resta sempre con le radici piantate nel proprio paese… Ogni qual volta vengo a Barletta, prima di prendere la strada statale per recarmi a Lecce, quasi sempre passo silenziosamente al Santuario a salutare la Madonna… la mia Madonna”.  

Mons. Seccia, cosa ci può raccontare dei festeggiamenti legati ai Santi Patroni qui a Barletta? 

«I festeggiamenti sono una cosa che mi hanno interessato relativamente, però posso dirti che la devozione alla Madonna dello Sterpeto, così come anche a San Ruggero, è un qualcosa che si trasmette - e qui concedimi una piccola battuta - quasi con il biberon, perché è bello vedere i bambini in braccio ai genitori anche se oggi c’è un limite delle natalità. Ricordo un’espressione del cardinale Francis Arinze - originario della Nigeria - che venne a Barletta nel lontano 1987 - durante l’anno Mariano - il quale mi disse testuali parole…”. Sono commosso in questa processione nel vedere la scala generazionale, la scala umana…”. Cosa intendeva? La sua era una commozione nel vedere questo lungo corridoio umano, che iniziava con i bambini, a seguire le sorelle e i fratelli più grandi che mantengono portano per mano i bambini, e quindi i genitori - magari con qualche pargolo in braccio - scene che dal teatro Curci e quindi lungo Corso Vittorio Emanuele e non solo, sono rimaste ben impresse nella memoria del cardinale Arinze, una cosa che mi ripeteva ogni qual volta ci siamo incontrati a Roma». 

C’è qualcosa che il tempo ha cambiato nel rapporto tra i barlettani e la Madonna dello Sterpeto?

«Credo che il tempo in fondo non ha cambiato poi più di tanto le cose; anche oggi basta vedere l’arrivo della Sacra Effige della Madonna dello Sterpeto – così come anche il ritorno – perché se la festa patronale con le sue luminarie, le bancarelle, rappresenta un momento di gioia, un momento per fare festa insieme, il momento devozionale è ancora più intenso. Basta affacciarsi in cattedrale durante le celebrazioni del mese di Maggio, durante la celebrazione del Pontificale la domenica mattina, giorno della festa, nonostante il caldo, questo per dire che non si può togliere la devozione a Maria e a San Ruggiero ai barlettani, perché è un qualcosa che fa parte del proprio DNA, una cosa che ho sperimentato personalmente, che sono convinto durerà nel tempo, anche se i giovani sembrano essersi allontanati un po’, ma vedere l’esempio dei genitori è un qualcosa che rimane per sempre nella vita se noi sappiamo mantenere vivi questi momenti».

A lei cosa è rimasto di quei momenti?

«A me di questi momenti sono rimasti dei ricordi permanenti, dei ricordi forti, di preghiera, di quel Rosario recitato ad alta voce - in tempi in cui i megafoni ancora non esistevano - la preghiera non è semplice manifestazione pubblica… è preghiera».

Le manca un po’ vivere quei momenti?

«Chiaro che mi manca… un sacerdote, un vescovo resta sempre con le radici piantate nel proprio paese… Ti confesso un’altra cosa: ogni qual volta vengo a Barletta, prima di prendere la strada statale per recarmi a Lecce, quasi sempre passo silenziosamente al Santuario a salutare la Madonna… la mia Madonna. La Madonna è Unica… ma dire la Mia Madonna significa dire la Madonna verso il quale io ho pregato sin da quando ero bambino, poi da sacerdote, poi da vicario, lì dentro quel Santuario».

Come spiega l’esodo dei barlettani durante i giorni della festa?  

«Purtroppo questa è una cosa che c’è sempre stata, c’è chi crede che andando via snobba questi momenti caotici. È vero che c’è caos, ma è anche vero che festeggiare i Santi Patroni è un qualcosa che fa parte del nostro patrimonio culturale e religioso. Scommettiamo che chi non sopporta il caos della festa patronale si ritrova poi dinanzi al corteo storico della Disfida?».

 

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