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Passati gli anni della gioventù e raggiunta la maturità, cosa possono ancora significare gli auguri di buon compleanno? Se poi chi aggiunge un altro anello alla catena della vita è un vescovo, il nostro vescovo, cosa ci anima profondamente a dirgli: “Auguri padre”?

Ecco, “padre”, appunto…

È proprio la paternità la cifra del nostro rapporto con lui, ciò che ci porta a non passare in fretta su un passaggio di vita, riducendolo soltanto ad una candelina in più da spegnere su una torta. La paternità da consistenza alla nostra identità. Se poi si tratta di un vescovo, la paternità diventa legame con una storia, una lunga storia dalle radici profonde. In realtà è la Chiesa che precede il vescovo e, tuttavia, è il vescovo che contribuisce in modo insostituibile alla sua crescita, riconducendo continuamente in unità tutte le spinte in direzioni diverse che potrebbero frantumarla in pochissimo tempo.

L’apostolicità garanzia dell’unità della Chiesa mediante il servizio alla comunione: ecco l’altissimo e arduo compito del vescovo. Se non fosse sostenuto da un dono dall’Alto, sarebbe destinato sicuramente al fallimento, dal momento che, senza lo Spirito Santo, la coesistenza e il reciproco riconoscimento di realtà diverse - la “convivialità delle differenze”, per dirla con don Tonino Bello - rimarrebbe pura utopia.

La maturità cresce con gli anni ed una vita santa. Noi tutti, un po’ egoisticamente, auguriamo al nostro vescovo gli uni e l’altra, perché se cresce lui “in età, sapienza e grazia”, ci sarà certamente una ricaduta su di noi e “l’anzianità” del pastore farà splendere ancor più la giovinezza della Chiesa.

Allora, come si diceva nei tempi che furono, Ad multos annos, padre carissimo!

 

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