Prima di partire alla volta di Roma per raggiungere gli altri ragazzi italiani e vivere i giorni più intensi del pellegrinaggio giubilare, i giovani leccesi hanno partecipato a L’Aquila, nel Convento San Nicola alla messa presieduta dall’arcivescovo nella memoria liturgica di Sant’Ignazio di Loyola.

Nell’omelia (IL TESTO INTEGRALE), mons. Angelo Raffaele Panzetta ha prima commentato le letture tratte dal Libro dell’Esodo (40,16-21.34-38) Mt e dal Vangelo di Matteo (13,47-53) e poi ha tracciato un breve profilo del fondatore dei Gesuiti, sottolineando come nella sua vita la prova sia stata opportunità di grazia e di salvezza.
“Durante il cammino di Israele nell'Esodo non c'era ancora un tempio fatto di pietre - ha affermato l’arcivescovo -, c'era una tenda e questa tenda era sovrastata dalla presenza della nube. La nube è un modo per indicare la presenza di Dio. Ed è molto bello pensare che durante l'Esodo non solo il popolo di Israele ma anche Dio ha fatto il suo Esodo camminando con questa tenda mobile in mezzo al suo popolo. Penso che la mobilità di Dio che pur di stare in mezzo al suo popolo si accontenta di una casa provvisoria, ci fa capire che la vera casa di Dio è il suo popolo. Dio ama stare in mezzo al suo popolo”
“E quindi è bello pensare - ha aggiunto il pastore - che il pellegrinaggio quando è vero è abitato. Non siamo noi che dobbiamo andare a cercare Dio. Dio sta già dentro di noi, ci accompagna la sua nube. In questi giorni, scherzando, qualcuno, visto che pioveva sempre, diceva che avevamo su di noi la nube della famiglia Adams che ci veniva dietro. In realtà non era quella della famiglia Adams, era la nube di Dio e della sua presenza. E Dio è stato presente in mezzo a noi, nei volti delle persone. È bello sapere, dunque, che noi siamo una tenda mobile che è sempre accompagnata da questa nuvoletta della presenza di Dio. Quindi anche durante il viaggio che faremo oggi saremo accompagnati da questa presenza viva di Dio”.
È poi passato a commentare il brano evangelico: “il regno dei cieli è simile a una rete gettata nel mare, che raccoglie ogni genere di pesci. Quando è piena, i pescatori la tirano a riva, si mettono a sedere, raccolgono i pesci buoni nei canestri e buttano via i cattivi”, scrive Matteo.
“Sapete - ha detto Panzetta -, nel mondo giudaico non si mangiavano tutti i pesci. C'erano pesci che si mangiavano e pesci che non si mangiavano, se non ricordo male quelli senza spine. Anche quelli, in realtà, noi li gustiamo. Sono dignitosi anche le seppie, i polpi e gli altri che hanno un buon sapore. Ma per i Giudei c’erano pesci buoni e pesci cattivi. Dio, però, li prende tutti. La rete prende tutti i pesci. E questo perché Dio ha la segreta speranza che anche i pesci “cattivi” possano decidere di diventare buoni”.
Infine, l’arcivescovo, raccontando la vita di Sant’Ignazio, si è soffermato sul senso delle prove nella vita. “Ignazio di Loyola che è morto nel 1556, all'inizio della sua vita ha vissuto una prova forte che è stata la sua salvezza. Era un soldato - ha raccontato -, difendeva la città di Pamplona e venne ferito gravemente. Durante il tempo di convalescenza in ospedale ha cominciato a leggere la vita di Gesù, le vite dei santi e ha cambiato la sua vita. Se non fosse stato ferito probabilmente non avrebbe avuto l’opportunità di cambiare la sua vita. Ignazio di Loyola, dunque, ha saputo trasformare la prova in una grande occasione della grazia di Dio”.
“Chiediamo al Signore - così ha chiuso l’omelia -, per la mediazione di Sant'Ignazio che ciò che è accaduto alla sua vita, cioè che conoscendo l'esperienza di Gesù ci innamoriamo di Lui e mettiamo la nostra vita a sua disposizione, si compia anche nella nostra vita”.
Photogallery di don Emanuele Tramacere.

