Prima della messa, l’arcivescovo Angelo Raffaele Panzetta, in Piazza Sant’Oronzo, dopo aver affidato il suo ministero alla Madonna nella chiesa di Santa Maria della Grazia, ha rivolto il suo primo messaggio alla città di Lecce e a tutte le comunità cittadine della diocesi di Lecce, rappresentata dai sindaci e dalle altre autorità del territorio. Ecco il testo integrale.

Illustri Autorità civili e militari, cittadini tutti, fratelli e sorelle,
ho ascoltato con grande attenzione e ho accolto con gratitudine le parole di saluto e di benvenuto pronunciate, in nome di tutta la cittadinanza, dall’Illustrissimo Sindaco, On. Adriana Poli Bortone, dal Preg.mo Presidente della Provincia, Dott. Stefano Minerva e da S. Ecc.za il Prefetto, dott. Natalino Domenico Manno.
Con gioia rivolgo ora il primo saluto alla Città e a tutti gli abitanti nel territorio della Diocesi di Lecce. Saluto cordialmente la Città di Lecce, e con essa tutte le Città e tutti i Comuni e le località della Diocesi. Guardo con ammirazione e affetto alle grandi e antiche tradizioni di questa popolazione che sono intrise di storia e di cultura, di accoglienza e di fede cristiana. Come Arcivescovo della Chiesa di Lecce non voglio essere considerato come un ospite provvisorio perché in questi mesi passati ho imparato a sentirmi membro di questa comunità civile e partecipe della sua storia e del suo cammino.
Ho accolto con grande favore il fatto che il nostro primo incontro sia avvenuto in una piazza perché ritengo che a questo spazio urbano debba essere riconosciuto un significato simbolico, importante, per la vita democratica in quanto esso è un luogo d'incontro nel quale il pluralismo delle culture, delle istituzioni e delle ideologie trova una possibilità effettiva di confronto e di dialogo. La piazza è però anche il luogo in cui passa la vita feriale delle persone: in essa si incontra chi vive, chi lavora; in essa dialogano i credenti ma anche uomini e donne che hanno smarrito la fede o quelli che si sentono indifferenti nei confronti del problema religioso. In questo peculiare contesto di umanità non posso far a meno di ricordare a me stesso e a tutti i credenti che Gesù ha pensato la Chiesa come una comunità a servizio dell'umanità, a servizio delle città e delle piazze che debbono essere considerate non spazi vuoti ma luoghi teologici, perché Dio abita nelle case, nelle strade e nelle piazze. Egli vive tra gli uomini promuovendo la solidarietà, la fraternità, il desiderio di bene, di verità, di giustizia. Il Dio di Gesù Cristo non si nasconde a coloro che lo cercano con cuore sincero, sebbene lo facciano a tentoni e, spesso, anche in maniera implicita.
Consapevole, dunque, di essere in un contesto architettonico pieno di significato, che nella tradizione greca era quello della parresia, anche io mi avvalgo della possibilità di prendere pubblicamente parola per ricordare a tutti che io non sono qui per realizzare una missione politica o economica, per difendere un sistema economico e neppure per una soluzione tecnica ai problemi economici che attanagliano le nostre comunità. Sono venuto a voi nel nome di Cristo!
Nel nome Suo, io e tutta la nostra comunità diocesana, intendiamo agire per promuovere i valori umani della pace, della solidarietà, della giustizia sociale, della corresponsabilità, della convivenza civile pur nel pluralismo delle convinzioni religiose e ideologiche.
La nostra Chiesa, pertanto, pur con tutti i suoi limiti, si sente chiamata dalla sua stessa missione, che è quella di annunciare il Regno di Dio, ad essere una comunità esperta in umanità, un luogo di educazione delle coscienze, una maestra dei valori imprescindibili che descrivono ed esprimono la suprema dignità della persona umana: la vita, la famiglia, la cura dei giovani, l'attenzione ai più poveri, la giusta accoglienza degli immigrati, la pacifica e serena convivenza civile. Ma anche il senso della bellezza, il valore della cultura, il dono di vivere di una Città accogliente e vivibile. Per questa responsabilità educativa, io avrò grande e rispettosa attenzione alla vita di questo territorio. Lo farò certamente senza voler assolutamente travalicare le competenze della mia missione, ma unicamente per favorire quella crescita in umanità che è essenziale per ogni vero progresso, anche di carattere sociale ed economico. Guarderò con affetto di predilezione ai più poveri, alle famiglie in difficoltà, agli immigrati che cercano faticosamente un giusto inserimento, agli anziani soli, ai malati, all'educazione dei ragazzi, alla formazione dei giovani.
Mi piacerebbe che il mio ministero episcopale, e più ampiamente il servizio di tutta la comunità diocesana a favore della nostra gente, diventasse progressivamente una vera e propria diaconia della speranza; essa ha il suo radicamento nella Pasqua di Cristo, ma è capace di farsi carico di ogni legittima attesa e di ogni anelito di futuro che appartiene strutturalmente alla vicenda umana. Viviamo in un contesto sociale spesso bloccato dalla paura, il rischio è quello di cedere ad una fatalistica visione del presente e del futuro.
Papa Francesco, in Evangelii Gaudium n. 85, ha descritto con molta efficacia i pericoli che si corrono in queste situazioni: «Una delle tentazioni più serie che soffocano il fervore e l'audacia è il senso di sconfitta, che ci trasforma in pessimisti scontenti e disincantati dalla faccia scura. Nessuno può intraprendere una battaglia se in anticipo non confida pienamente nel trionfo. Chi comincia senza fiducia ha perso in anticipo metà della battaglia e sotterra i propri talenti». Per non cadere in questi atteggiamenti sbagliati, vorrei veramente con tutto il cuore che tutte le nostre comunità fossero presìdi che impediscano il furto della speranza, che costituissero delle fontane zampillanti di passione per il futuro presso le quali le nuove generazioni, ma anche quelle più mature, possano trovare ristoro. Perché, se si dovesse spegnere la speranza o se ce la facessimo rubare, allora inevitabilmente le nostre piazze e le nostre città diventerebbero musei o addirittura cimiteri di persone che camminano con le spalle rivolte al futuro. Perché questo non accada, ognuno di noi deve fare la sua parte, tutti dobbiamo seminare e coltivare germi di speranza e attivare percorsi di futuro in tutti i contesti, perché il bene comune diventi la stella polare verso la quale camminare insieme con le nostre diversità e peculiarità.
Alla fine di queste considerazioni sento di poter dire con forza a me stesso e a tutti voi: coraggio, testimoni di speranza e costruttori di un presente aperto al futuro; coraggio amanti della verità e della giustizia perché la partita è ancora in corso e quindi occorre fare la nostra parte per portare a casa un risultato positivo. lo, da parte mia, sento di potere dire con verità che, pur di offrire un contributo favorevole in questa sfida sono disposto a spendere interamente la mia vita.
Grazie a tutti dell'ascolto. Sant'Oronzo che veglia su questa piazza e sulla nostra terra insieme con i santi Giusto e Fortunato, ci accompagnino per le vie del bene e della Verità. Buona serata a tutti!
Racconto per immagini di Arturo Caprioli.

