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Non c’è persona che, almeno in un particolare momento della sua vita, non si sia abbandonato a coltivare i sogni.

 

 

 

Il sogno è parte integrande dell’esistenza anche se l’uomo tende a lasciarsi irretire troppo dalle urgenze della vita quotidiana al punto da dimenticare i propri sogni. Se trascurati, i sogni appassiscono come piante lasciate senza acqua. Occorre invece custodirli e coltivarli, perché danno colore, melodia, sapore alla nostra vita. Senza di loro la nostra esistenza diventa piatta e insipida.

Non per nulla il cantante francese, Jacques Brel, amava ripetere che l’essere umano necessita di un solo talento: avere dei sogni. Il resto non è che sudore e disciplina. Con il candore dei visionari, esortava tutti a “sognare un sogno impossibile” (rêver un impossibile rêve), dando così voce e corpo alla dismisura dell’animo umano perché quanto più impossibile è il sogno, tanto più la vita sarà degna d’essere vissuta. Non basta tuttavia evocare il sogno, bisogna anche spingersi fin sul crinale che separa il desiderio dal suo esaudimento, dal momento che proprio su questo fronte gli uomini sovente raggiungono il fine della loro vita oppure falliscono.

La vita stessa è sogno, ammoniva il celebre drammaturgo spagnolo Pedro Calderón de la Barca (Madrid 1600-81) nella sua famosa opera intitolata, appunto La vida es sueño (1635). In essa, interrogandosi sul senso della vita, si domandava se l’esistenza fosse solo una rappresentazione scenica in cui ognuno recita la sua parte e se il sogno fosse solo una finzione o il rovescio della realtà. Una cosa era per lui certa: vivere è sognare! La vita non è che un sogno che la morte svela nel suo contenuto misterico. Tuttavia, «realtà o sogno, importa una sola cosa: agire bene»[1].

Alla categoria dei sognatori appartiene certamente anche don Tonino Bello. Nel suo diario, annota di aver coltivato, da giovane sacerdote, il sogno di lasciarsi bruciare «dall’ardore di scavalcare i continenti»[2] e il desiderio di partire missionario per avere l’occasione di annunciare il Vangelo a tutte le genti. Così egli scrive: «Volevo diventare santo. Cullavo l’idea di passare l’esistenza tra i poveri in terre lontane, aiutando la gente a vivere meglio, annunciando il Vangelo senza sconti, e testimoniando coraggiosamente il Signore Risorto. Ora capisco che in questo sogno eroico forse c’entrava più l’amore verso me stesso che l’amore verso Gesù. Comprendo, insomma, che in quegli slanci lontani della mia giovinezza la voglia di emergere prevaleva sul bisogno di lasciarmi sommergere dalla tenerezza di Dio»[3].

Cosa nota è anche il suo insistente invito a coltivare i sogni. Consapevole che siamo immersi nel progetto nichilista, si domandava dove fossero andati a finire «i grandi sogni che avevano alimentato, nel secolo passato, le grandi ideologie»[4]. Per questo, non poche volte, si lamentava che il vero problema dei nostri tempi fosse che i sognatori non erano «troppi, ma troppo pochi»[5]. I pacifisti, in modo particolare, venivano considerati persone appartenenti ad «aggregazioni di “zoccolanti” o consorterie di sognatori destinate a fare il loro tempo»[6]. È in crisi il concetto di “epoca nuova”, avendo l’uomo contemporaneo smarrito il valore della speranza e dell’attesa di un mondo migliore. Ora non si aspetta più nulla.

In questo suo rammarico, don Tonino si trova in sintonia con quanto soleva dire Oscar Wilde, secondo il quale «la società spesso perdona il delinquente, ma non perdona mai il sognatore». I sognatori, infatti, non sono ascoltati perché sembrano disturbare l’opinione comune, camminare contro corrente, proporre idee in contrasto con il comune modo di sentire. Sembrano quasi dei disturbatori della quiete pubblica, quando non sono considerati persone dotate di poco senso pratico perché sembrano sempre viaggiare su un altro mondo, avvolti in una realtà parallela, e somigliano a gente con la testa tra le nuvole.

In realtà, per don Tonino, «non c’è bisogno di gente che cammina tra le nuvole, ma di gente che coltiva l’utopia, culla l’utopia, che fa sogni diurni, quelli che si realizzano»[7]. Un vero sognatore è colui che è capace di fare “sogni ad occhi aperti”, guardando in faccia la realtà in tutte le sue molteplici sfaccettature, anche quelle più complesse e contrastanti, conservando la spinta a vedere in profondità, a trasfigurare la realtà, a osare di immaginare l’esistenza in un’altra forma lasciando trasparire tutta la sua bellezza e verità.

Il vero sognatore, secondo don Tonino, è colui che sa sognare i sogni dei poveri. Una splendida trattazione su questo tema è lo scritto Chi non sogna in compagnia…[8]. In esso, don Tonino afferma che «il sogno è il teatro dei poveri»[9], il luogo dove si consumano le sorti degli ultimi della terra, non nella forma della commedia o della tragedia, ma dell’assunzione di responsabilità per consentire che la recitazione avvenga non sul palco della finzione, ma della realtà.

Il “teatro dei poveri”, luogo dove si manifestano i “sogni dei poveri”, non trasmette spettacoli di evasione o di puro divertimento, ma mette in fila fatti e storie reali per suscitare una presa di coscienza delle problematiche più urgenti che toccano la vita delle persone, i loro drammi, le loro sofferenza, i loro desideri di riscatto e di liberazione. Non, dunque, racconti e metafore senza nessun aggancio con la realtà, zone di rifugio dove consumare, in silenzio e in segreto, i propri insuccessi e dare sfogo ai propri lamenti per le grida rimaste inascoltate. Tantomeno recinsioni di “zone franche” o di improbabili isole felici dove poter illudersi di aver superato e sconfitto il male che inesorabilmente circonda e, talvolta, aggredisce con forza, la vita dei più deboli.

Il “teatro dei poveri” è l’ambiente dove sognare «anche per conto terzi»[10]. Non si tratta di sogni che riguardano solo la soluzione dei bisogni personali e degli specifici problemi che toccano la propria persona, ma di “sogni planetari”. I poveri sognano non solo per sé, ma anche per gli altri facendosi interpreti delle speranze di tutti. Non, dunque, “piccoli sogni”, ma “sogni cosmici e universali”, progetti di rinnovamenti globali e di cambiamenti radicali, scenari di un nuovo assetto della società.

I “sogni dei poveri” però hanno bisogno di chi sa decodificarli. I poveri infatti «sognano, ma hanno bisogno di chi interpreti i loro sogni»[11]. Farsi solidali con loro significa «interpretare i (loro) sogni»[12], ossia manifestare una «solidarietà lunga» rispetto alla «solidarietà corta» che è quella di soddisfare solo i bisogni materiali. Occorre infatti «schierarsi dalla loro parte, dalla parte di coloro che non contano niente, perché Dio li ama, perché Dio sceglie gli straccioni per operare i prodigi del suo annuncio»[13]. Modello esemplare di questa attività ermeneutica è Giuseppe, bollato dai fratelli come il “sognatore”, ma che, al momento opportuno è l’unico a saper interpretare i sogni[14].

D’altra parte, non basta interpretare i sogni dei poveri, occorre soprattutto imparare a «sognare con essi: perché solo chi sogna può evangelizzare»[15]. Se, infatti, «uno sogna da solo, il suo rimane un sogno. Ma se sogna insieme con gli altri, il suo è già inizio della realtà»[16]. Questa attitudine a sognare insieme genererà una catena spirituale, una forza d’urto capace di sconfiggere le forze disgregatrici del male.

Sotto questo profilo, appare evidente che anche la Chiesa deve coltivare la capacità di sognare. In caso contrario si ridurrebbe solo ad apparato. Essa però deve mettere in conto che coltivare i sogni non è un’operazione innocua, tranquilla e indolore. Bisogna disporsi a pagare un prezzo perché i sogni dei poveri sono «spericolati» e per questo, come per Giuseppe, l’esito finale sarà quello di essere gettati «nella cisterna»[17].

Queste considerazioni di carattere generale aiutano a comprendere il valore di questo libro. Apparentemente sembra solo una raccolta di documenti del periodo nel quale don Tonino è stato parroco a Tricase. In realtà, getta uno squarcio sulla sua visione pastorale, coltivata e divenuta programma operativo durante il ministero pastorale di guida della comunità tricasina: trasformare la vita della parrocchia da una semplice gestione del quotidiano a una comunità capace di sognare i sogni dei poveri e con i poveri per divenire annunciatrice di cieli nuovi e terra nuova.

Il periodo vissuto come parroco della Chiesa della Natività a Tricase è stato molto breve, ma di grande intensità pastorale. L’ardore pastorale è sbocciato in modo più pieno negli anni dell’episcopato. La germinazione circoscritta a Tricase, però, anticipa la successiva fioritura a Molfetta, e con essa il segreto e l’attestazione più evidente del suo luminoso metodo pastorale. Nel primo numero del foglio parrocchiale “Comunità” (1° agosto 1979) don Tonino aveva scritto un trafiletto intitolato: «Nel cassetto dei sogni».  Si tratta di un appunto sui progetti che egli andava immaginando. Nel suo ministero di parroco e di vescovo ha aperto il cassetto e molti sogni sono diventati realtà. A noi non resta altro se non accogliere il suo invito ad aprire il nostro cassetto perché diventino “sogni condivisi” e illuminino il cammino nostro e dei nostri fratelli.

*vescovo di Ugento-Santa Maria di Leuca

 

* Presentazione a H. A. Cavallera-F. Ferraro e R. Fracasso, Presenza di don Tonino Bello a Tricase, vol. II I sogni pastorali, Edizioni Grifo, Lecce 2021, p. 7-10.

[1]«Obrar bien es lo que importa» (P. Calderon de la Barca, La vita è sogno, III, I, 236).

[2] Cfr. A. Bello, Diario 1962 (24 marzo) in V. Angiuli- R. Brucoli (a cura di), La terra dei miei sogni. Bagliori di luce dagli scritti ugentini, Ed Insieme, Terlizzi 2014, p. 84.

[3] Id., Pietre di scarto, La Meridiana, Molfetta 1997, pp. 23-24.

[4] Id., IV, 51, p. 61.

[5] Id., IV, 118, p. 131.

[6] Id., VI, 359, p. 380.

[7] Id., IV, 118, p. 131.

[8] Cfr. Id., V, 55-58, pp. 55-58.

[9]  Ivi, 55, p. 55.

[10] Ivi, V, 56, p. 56.

[11] Ivi, V, 57, p. 57.

[12] Id., VI, 286, pp. 291-292.

[13] Ivi, 286, p. 292.

[14] Una bella trattazione su Giuseppe si trova nello scritto I have the dream nel quale, riprendendo una frase di Martin Luther King, don Tonino traccia una suggestiva descrizione di Giuseppe e del suo essere un sognatore, (cfr. Id., IV, 298-302, pp. 324-328).

[15] Id., VI, 286, p. 292.

[16] Id., V, 58, p. 58.

[17] Id., VI, 286, p. 292.

 

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