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Scrive Mario Luzi in una sua poesia: “La tua porta è ancora chiusa/c’è una parola per passare il segno?”. Il poeta riflette sul “terzo millennio”, ma forse non è una forzatura applicare i versi al dopo pandemia.

 

 

 

Il poeta si chiede se c’è una “parola per passare il segno”, per uscire dal tunnel, superare la crisi, nei suoi tanti risvolti personali, di salute, relazionali, economici e politici. “C’è, non sai chi lo pronunzia/e nemmeno chi lo giudica, ma c’è”, scrive Luzi. Gli antichi parlerebbero di un “logos” (contenuto mentale) che interpreti il mondo, altri parlerebbero di “senso” o “significato” di quello che viviamo e così via. Oltre il recupero della salute e il sanare ferite socioeconomiche, ma forse prima di essi ci manca quella “parola” o “parole”. Nessuno può pensare di possedere quella vera e, ancor peggio, di imporla agli altri. Tutti balbettiamo, tutti abbiamo una visione circoscritta del reale, tutti siamo in cammino e quindi ci scambiamo parole, significati perché la porta del dopo pandemia si apra definitivamente. Senza pretese fondamentaliste, senza credere di essere esaustivi: continuiamo a dialogare e a costruire sapere comuni e condivisi.

Forse, a mio modesto parere, una delle parole, interpretative dell’oggi, potrebbe essere “relazioni”. Esse sono in crisi per i motivi prossimi che conosciamo (pandemia, salute, crisi socioeconomica). Ripetiamo che “tutto è in relazione” (Papa Francesco), ma relazionarsi stanca e logora il nostro andare verso gli altri. Allora la domanda è: da dove ricominciare per riqualificare le nostre relazioni, per renderle solide? La risposta è difficilissima, ma può arrivare solo se l’impegno è comune. Non perché insieme è più facile e si lavora meno o c’è più forza o più gusto, ma, prima di tutto, perché la nostra vita è insieme di relazioni. Da esse si può ricominciare: famiglia, lavoro, amicizie, comunità di fede religiosa, politica, associazionismo; nessuna esclusa.

Abitiamo spazi, tempi, relazioni, emozioni, idee, sentimenti. Ma in che modo? A volte ci sentiamo pienamente inseriti e sereni, altre volte estranei e paurosi. Ogni relazione è la nostra terra e al tempo stesso il nostro esilio o la terra del nemico. Nel dopo pandemia necessitiamo di poesia, di metafore interpretative per definire meglio i nostri esili, le patrie, le relazioni di qualità e quelle da riqualificare o abbandonare. Agostino scriveva che “durante il soggiorno in questa vita terrestre i cuori sono nascosti ai cuori. E poiché i nostri segreti pensieri ci sfuggono reciprocamente, noi ci prestiamo dei sentimenti che non abbiamo”.

Non c’è solo parte del volto nascosto ancora dalle mascherine, ci sono zone d’ombra (rabbia, competitività esasperata, libertà diventata libertinaggio e mancanza di cura degli altri) che neanche il post pandemia riesce ad illuminare. Ci sono problemi relazionali, che costituiscono un denominatore comune di spazi e tempi tra loro anche molto diversi. Individuarli e raccontarceli è essenziale in questa fase, come anche aiutarci a risolverli, con scienza e coscienza. E questo perché siamo fatti di relazioni: siamo politikòn, direbbe Aristotele.

Rileggo spesso una pagina di Emanuel Mounier: “Noi ci troviamo presi in un corpo, in una famiglia, in un ambiente, in una classe, in una patria, in un’epoca che non abbiamo scelto. Che io mi trovi qui piuttosto che là, adesso piuttosto che allora, è stato deciso da un misterioso disegno in antecedenza a ogni partecipazione della mia volontà. In me si annodano le cifre intrecciate di un destino incombente e di una vocazione che è una sfida contro tutte le forze del mondo; ma questa vocazione non può aprirsi la via che in questo corpo, in questa famiglia, in quest’ambiente, in questa classe, in questa patria, in quest’epoca”.

La lezione di Mounier aiuta, con il suo “qui e adesso”, a rigettare ogni tentazione di fuga e ad accettare i compagni di strada che mi sono stati posti accanto dal buon Dio o da altro, per chi non crede in Dio. Ma, accanto a ciò, sprona anche a lavorare su se stessi e sugli altri affinché le relazioni personali siano il luogo in cui il nostro futuro, con tutti i nostri doni, si apra la via. Sono l’insieme delle relazioni su cui è indispensabile operare un discernimento, una valutazione in tutti i gruppi e istituzioni. Luzi direbbe “sfrondare di frivolezza e vanità lo scibile… portare in salvo l’essenziale…”.

A proposito, il bellissimo testo di Mario Luzi:

Terzo millennio, la tua porta è ancora chiusa

c’è una parola per passare il segno?

un motto di malleveria sovrana?

C’è, non sai chi lo pronunzia

e nemmeno chi lo giudica, ma c’è.

La mente umana greve e insoddisfatta

lo desidera, dura, contro di sé:

sfrondare di frivolezza e vanità lo scibile,

portare in salvo l’essenziale opera

di bellezza e conoscenza, alleggerire il carico

della presuntuosa fatuità…

Da questo purgatoriale rogo

uscirà l’uomo, spero, spoglio proteso

al meglio: al lavoro costruttivo,

alla pace, alla fraternità.

 

 

*sacerdote della diocesi di Bari, ordinario di filosofia politica all’Università Gregoriana

 

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