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Narra la leggenda che nel 1453, mentre gli Ottomani assediavano Costantinopoli, nella città si discuteva del sesso degli angeli.

 

 

In realtà ufficiali e soldati cristiani entrarono nella storia combattendo fino all’ultimo, pur se in numero enormemente inferiore rispetto agli assedianti.

Non è detto che entrino nella storia, ma certamente irrompono nella cronaca i 265 deputati che ieri, mentre il Covid avanza, l’economia collassa e il terrorismo islamico riprende a uccidere, nel dare il voto favorevole al testo c.d. antiomofobia, hanno discettato di “aspettative sociali connesse al sesso”, per riprendere una delle espressioni contenute nella legge. A luglio in Commissione Giustizia si sono fatte le due di notte, mentre in Aula si è andati avanti con tempi contingentati per inserire nell’ordinamento penale l’attenzione ai “percorsi di transizione”, sessuali o di genere.

Questa legge è inutile, se il fine è quello - unanimemente condiviso - di tutelare le persone omosessuali da ogni offesa o lesione loro rivolta: il codice già offre copertura completa e dettagliata. È inutile, se l’Oscad, l’osservatorio del Viminale che monitorizza le discriminazioni utilizzando anche le segnalazioni delle associazioni lgbt, informa che parliamo di una media di 26 casi all’anno di condotte presuntivamente omo-transfobiche.

È dannosa, se si pensa alle “assicurazioni” che gli stessi promotori dell’articolato hanno fornito per allontanare le accuse di norme liberticide: l’on Scalfarotto non ha escluso, nella relazione che accompagna la sua proposta, poi confluita nel testo Zan, che finisca davanti al giudice una madre che suggerisca - suggerisca, non imponga o minacci - alla figlia di non sposare un bisessuale. Al giudice l’on Zan è sicuro di spedire chi sostiene che non basta che io mi dichiari donna per esserlo (se sono nato uomo), perché - così dice in un’intervista - “la legge serve a instillare nelle persone un atteggiamento di prudenza”: viva l’autocensura! e per chi non la pratica, se vuol evitare il carcere, vi è la sanzione sostitutiva del volontariato alle dipendenze di una associazione lgbt (ieri hanno approvato anche questo).

Non pochi dei deputati che hanno votato il testo Zan hanno in passato manifestato riserve per l’abnorme estensione del potere giudiziario. Ieri hanno consegnato alla magistratura un ulteriore allargamento delle maglie, perché permettono il transito dal diritto penale del fatto a un diritto penale che punisce la manifestazione di idee in quanto espressive di una presunta disposizione interiore. La sostanza del testo Zan è infatti, prima ancora del gender nelle scuole e del finanziamento del network lgbt, l’individuazione di una fattispecie di reato d’opinione basata su un preteso movente di odio, del tutto disancorato dal fatto obiettivo. Non sono necessari né un danno, né una violenza, né una minaccia: per ritenere commesso il nuovo delitto al magistrato sarà sufficiente ricostruire la disposizione interiore del soggetto.

Per chi crede, solo Dio è il giudice dell’intenzione. Ora, è vero che l’autostima di qualche mio collega talora mostra di puntare in alto, come attestano i provvedimenti giudiziari che hanno preteso di discettare rovinosamente di tumori, vaccini e batteri, ma la realtà quotidiana rivela quanto di umano, troppo umano, ci sia nella magistratura. Quella realtà rimasta ieri fuori dall’uscio di Montecitorio.

*magistrato e vicepresidente del Centro studi Livatino

 

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