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In questa nostra cultura sfolgorante di tante luci pur fra le tenebre del vizio e del disordine, è sempre difficile scorgere la verità e distinguerla dalla menzogna e dall’inganno.

 

L’esperienza del sacro, che di per sé richiederebbe una certa capacità di accogliere il mistero e di innanzare la coscienza al di là delle meschinità, non si può confondere con le medagliette da ostentare, per guadagnare consenso e credibilità. È troppo evidente che in una cultura di questo tipo si può anche accettare il folclore del Natale, ma non si possono accettare i richiami di pace che risuonano attorno alla mangiatoia di una stalla. Il presepe, in fin dei conti non è che questo: una sollecitazione per far capire che quella notte, nella notte illuminata dalla cometa, non c’era posto nelle locande, non c’era posto nelle case, non c’era posto per accogliere il bambino che stava per nascere. E per lui non si trovò nulla di meglio che una mangiatoia.

Ma proprio questo è inquietante, anzi, destabilizzante. Molto meglio affidarsi all’albero con le sue luci colorate. Al più, con l’albero, si tratta di accertarsi che possa essere smaltito o riciclato, per il resto non ci sono problemi, e la coscienza non ha proprio nulla da ridire.

Il presepe, invece, sta lì a ricordarci la logica di un Dio che esalta gli umili ed abbassa i potenti. Incredibile, impensabile, difficile da raccontare e da spiegare. E perché, poi, attorno alla stalla si sono radunati soltanto dei pastori? Semplice: perché soltanto pochi umili pastori hanno saputo accogliere. Nessuno li aveva invitati; ma loro hanno creduto e sono andati. Loro soltanto hanno capito che quel bambino è il Salvatore.

Anche per i bambini della società consumista c’è nel presepe qualcosa di sconvolgente: i nostri bambini vivono senza essere mai certi di trovare al loro fianco qualcuno che conti. Sanno usare la playstation, ma non sono mai certi di poter trovare qualcuno che sia disposto a giocare con loro. Sanno che avranno dei regali; ma sono davvero pochi quelli che potranno godere del dono della vicinanza, dell’ascolto, della condivisione. Il regalo è una sorta di ticket, ben diverso dal dono che è sempre gratuito. Totalmente privo di condizioni. Senza attesa di contraccambio.

E poi, nel presepe, c’è pure quello straordinario messaggio degli Angeli: “Pace in terra agli uomini di buon volontà”... Soltanto a leggerlo, scuote e mette in crisi e spinge a cercare qualche verifica o qualche scusa, quasi a preparare un’autodifesa, per azzittire la coscienza. È troppo; meglio disfarsi del presepe, oppure, se proprio lo si vuol salvare, almeno lo si trasformi, lo si faccia diventare un presepe più semplice, tale da non produrre disagio... In una società pluralista giova andare all’essenziale. E allora niente bambinello, niente pastori, mettiamo via gli angeli; e togliamo pure la cometa e persino quei due sprovveduti di Maria e di Giuseppe che dopo venti secoli non hanno ancora capito che debbono rimanere a casa loro. Via tutto; si possono soltanto conservare le casette; le casette, con le luci colorate, il cielo stellato… e si possono pure salvare il bue, l’asinello e le pecore, ché qualche utile lezione possono darla pure loro, nella stagione in cui quel che conta è il consenso popolare.

Al di là dell’ironia, c’è da rimanere sbalorditi a prendere atto del grande rispetto che i non cristiani hanno per il presepe a fronte delle preoccupazioni che tribolano la fragile coscienza dei cattolici. Quando otto secoli fa, a Greccio, San Francesco inventò e realizzò il primo presepe della storia, intendeva rappresentare il Bambino nato a Betlemme, e voleva vedere, in qualche modo, con gli occhi del corpo, i disagi in cui si è trovato quel Bambino per la mancanza delle cose necessarie a un neonato, tanto da essere adagiato in una greppia, sul fieno tra il bue e l’asinello. Francesco voleva vedere il mistero. Voleva farsi toccare dall’esperienza straordinaria e sconvolgente di un Dio che si fa uomo e si presenta come bambinello, povero, privo di tutto, e però ricco di presenze umili e devote: Maria, Giuseppe, i pastori e più tardi i Magi, e gli abitanti di Betlemme: quelli che in prima battuta avevano detto: non c’è posto.

Ecco, oggi cerchiamo di trovare un posto, almeno per il presepe, in ogni casa, in ogni scuola, in ogni spazio in cui conviene che risuoni l’annuncio: “Pace in terra agli uomini di buona volontà”. Ne abbiamo tanto bisogno. Auguri.

 

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