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Molti, anche fra noi, hanno paura degli immigrati. La paura è comprensibile, perché il diverso è sconosciuto e conseguentemente genera immagini confuse; ma basta fare un poco di attenzione per accorgersi delle grandi risorse che derivano dall’incontro con l’altro, anche quando questi giunge da lontano.

Viviamo in una terra, la Puglia, che è sempre stata terra di arrivi e di partenze, di approdi e di incroci, da cui giungono le espressioni più importanti della nostra odierna identità. Pensiamo alle tracce profonde lasciate dalle più antiche e lontane popolazioni del Mediterraneo, da Creta a Micene sino ad Atene. Prendiamo atto di quanto rilevante sia stata la presenza di Svevi, Normanni, Francesi, Spagnoli… Ripercorriamo le vicende complesse e vivaci testimoniate dai tanti castelli di Puglia. Consideriamo i profili normanni di alcuni nostri compagni di scuola, i cognomi albanesi, le parlate grecaniche e quelle arbereshe.

Tutto questo testimonia secoli di accoglienza e di convivialità, che rendono ricca e solidale la terra di Puglia. Terra sempre generosa e sempre accogliente.

Il problema, allora, non è come difendersi dal rischio di un possibile meticciamento, ma come fare per dare un senso positivo al gesto dell’accoglienza. Che poi, detto in altro modo, significa come fare a crescere e a svilupparsi come persona e come gruppo sociale, anche grazie alla presenza di persone diverse e inattese.

Nella vicenda della persona, la presenza dell’estraneo, è un’occasione di verità, un momento di forza, che permette a ciascuno di capire chi è, che cosa sa fare, che cosa vuole diventare, qual è il personaggio che vuole davvero interpretare sul palcoscenico della propria esistenza. L’estraneo, lo straniero, non è un ladro che ci può togliere qualcosa, ma è colui che la Provvidenza ci invia perché ciascuno si renda davvero conto del suo personale percorso di crescita.

Un esempio eloquente ci giunge da un occasionale incontro di questi giorni. All’uscita da un supermercato un anziano chiede e riceve aiuto ad un giovane di colore; dopo di che gli offre una mancia. Il giovane prende la mancia, si inchina in segno di saluto e dice, con molto calore: “Dio ti Benedica”. Più tardi l’anziano signore commenta: “Sono fortunato: ho fatto un solo gesto di carità ed ho ricevuto una benedizione, che però vale il doppio”. E poi spiega: “Sicuramente quel ragazzo avrà detto Dio ti benedica pensando al suo dio, ed io ho accettato ed ho ricevuto la benedizione, pensando al mio Dio. In cielo, però, ci sta un solo Dio e questo solo ed unico Dio ha ricevuto il messaggio del ragazzo e quello mio. Questa benedizione conta di più; vale il doppio”.

Nessun teologo riuscirà a spiegare questo ragionamento e i benpensanti lo considereranno almeno strano.

E però quei due, l’anziano e il giovane, per un momento si sono riconosciuti come figli di Dio e quindi come fratelli. L’uno e l’altro hanno fatto un passo verso l’accoglienza, verso la fratellanza, verso la pace. Soprattutto l’uno e l’altro avranno portato pace all’interno dei propri sentimenti. Saranno cresciuti. Ed una vena di bontà avrà colorato il loro incontro.

In termini di razionalità discorsiva diremo che ciascuno, a modo suo, ha dato senso a quell’incontro e ciascuno si sarà sottratto all’arroganza di chi pretende il monopolio del senso.

Questo è il problema: il rischio dell’arroganza; questo sì, è un rischio effettivo, non il meticciamento.

 

Forum Famiglie Puglia