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È il gran giorno e la Chiesa che vive nella città non resta ai margini della vicenda che un popolo intero sta vivendo in trepidante attesa. Il sogno del Lecce in serie A, infatti, è nel cuore di tutta la comunità leccese e salentina. Di tutta e non solo dei tifosi, degli sportivi, degli addetti ai lavori.

Un bel sogno collettivo che fra qualche ora, al fischio finale, potrebbe diventare un progetto di comunità. Perché se è vero che promozione significa progresso, avanzamento, crescita… oltre il Via del mare c’è il grande cuore del Salento che altro non aspetta: di progredire, di avanzare, di crescere. Di uscire da un torpore che tradisce l’identità di un popolo che nella storia ha fatto solo passi in avanti. Si è gradualmente autopromosso non con le parole - promozione territoriale, turistica, imprenditoriale… - ma con le battaglie sociali, dure a volte e spesso anche perse, espressione però di un’anima identitaria mai disposta a cedere un solo millimetro di dignità e di appartenenza.

Stamattina dalle colonne di Quotidiano, ancora una volta, l’arcivescovo Michele Seccia ha colto nel segno e così si è espresso: “Partecipo all’attesa di tutto il Salento con la speranza che dal traguardo che tutti ci auguriamo di raggiungere grazie al positivo risultato del campo e dalla conseguente auspicata promozione in serie A scaturisca anche un impegno maggiore per il rilancio decisivo del nostro territorio che non gode certamente di buona salute”.

Ma “guai a fermarsi qui - aggiunge”, perché l’euforia non basta per la promozione. Se società, staff tecnico e squadra si fossero lasciati sfiorare solo per un attimo dalla convinzione che sulle ali dell’entusiasmo si sarebbe potuto raggiungere il risultato non saremmo qui a raccontare di una straordinaria impresa. Fatica, sacrificio e paure pure sono il segreto di qualunque traguardo positivo.

“Questa città e questo territorio - sottolinea Seccia - meritano molto di più dei momenti di esaltazione sportiva. Lo spettacolo del calcio in una terra del sud oltre ad un auspicato ritorno di immagine può diventare mezzo di sviluppo e strumento di bene comune se ciascuno, dalle istituzioni ai singoli cittadini, si rimbocca le maniche e si impegna nel suo piccolo - rispettando anzitutto le regole più elementari - per migliorare la vita della comunità a cominciare dalla propria casa e dalla propria famiglia”.

Possibile? Il calcio, strumento di bene comune? Certo. A vantaggio di molti, di tutti possibilmente. Strumento, cioè metodo di approccio, filosofia di vita se non altro. Oltre il business, crederci e sudare per vincere. Solo così un successo sportivo può trasformarsi in progresso collettivo. Solo così i colori di una squadra diventano i colori di una terra.

“Avanti Lecce, dunque - così conclude l’arcivescovo sul giornale di oggi -. Andiamo in serie A tutti insieme con una raccomandazione però che, da pastore, sento il dovere di fare: scherziamo e festeggiamo con i fanti ma lasciamo stare i nostri santi”.

 

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