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Portalecce rilancia volentieri un articolo redatto dal vescovo di Ugento-Santa Maria di Leuca, dal titolo “Come un dono l’atto iniziale di ogni vita”, apparso martedì 20 maggio 2025 su “Nuovo Quotidiano di Puglia”.

 

 

C’è una gioia particolare quando si incontrano persone amabili come il dott. Donato De Giorgi con il quale è possibile dialogare su problemi di grande rilevanza con il rispetto reciproco e la vicendevole stima. Soprattutto poi se il confronto viene vissuto non come in alcuni “talk show” che spesso si trasformano in uno scontro senza l’ascolto vicendevole e dove le opinioni di parte o di partito prendono il sopravvento sulle argomentazioni razionali. Mi piace pensare al nostro confronto come a un “simposio”, secondo l’accezione classica di incontro conviviale dove la conversazione si snoda in modo libero, rispettoso e amicale pur nella differenza delle proprie convinzioni.

Il mio riferimento al Giuramento di Ippocrate voleva sottolineare che non c’è nessuna opposizione tra ragione e fede. Esse sono come due ali che consentono di spiccare il volo e indagare, in modo approfondito, il mistero dell’esistenza. A questo punto, Donato De Giorgi richiama la visione moderna che “relativizza” anche il testamento di Ippocrate perché, a suo giudizio, non si può renderlo attuale «senza condizionamenti di tempo (storia) di ambientazione (società), di conoscenza (scienza)». Insomma, non esiste nulla di definitivo e assoluto, ma tutto è soggetto al cambiamento storico, sociale, scientifico. È la cultura a stabilire cosa sia la natura.

Ma veniamo al punto centrale della questione che risiede nella seguente frase del mio interlocutore: «Parlare di aborto richiama certamente il concetto di stabilire la nascita della vita o anche - più semplicemente - precisare la differenza tra “inizio” e “nascita”». Cosa, dunque, vuol dire “inizio” e cosa vuol dire “nascita”?

Partiamo dalla prima parola. “Inizio” (in greco ἀρχή) vuol dire “principio”, “origine”, “fondamento”“ragione ultima delle cose”. L’idea di un principio unificatore dell’esistenza è messa in discussione da Immanuel Kant. Tuttavia, la ricerca dell’archè è presente in diverse aree del pensiero contemporaneo. La fisica è alla ricerca di una “Teoria del Tutto”, ossia di una legge che possa spiegare tutte le forze della natura. Le scienze sociali si pongono domande sulle origini delle nostre società, delle istituzioni politiche, delle ideologie dominanti e dei modelli economici.

La filosofia non disdegna di volgere il suo sguardo al tema del “cominciamento”. È quanto propone Massimo Cacciari nei suoi due libri Dell’Inizio (1990) e Della cosa ultima (2004). La cosa ultima, infatti, non è che l’Inizio inteso non tanto come l’indifferente insieme di tutte le possibilità, bensì l’infinità stessa della cosa nella sua inalienabile e intramontabile singolarità. Nemmeno la Bibbia si sottrae a porre l’interrogativo circa l’inizio. Il prologo del Vangelo di Giovanni comincia con una triplice frase costruita con il verbo essere: ev archè è una citazione del libro della Genesi bere's'it (LXX ev archè). L'evangelista non è interessato a definire o a specificare il momento iniziale della creazione, ma pone la realtà del Logos fuori e prima del tempo, con una funzione molto simile a quella dei primi due versetti della Genesi.

Anche la medicina si pone l’interrogativo circa l’inizio della vita. Su questo punto, Donato De Giorgi ribadisce: «Non vi è ancora oggi una risposta unica a ciò e non può esserci una giurisdizione morale unica». Sembra, cioè che la medicina non possa dire ciò che è evidente e cioè che il concepimento segna l’inizio della vita e che, dal concepimento in avanti, non vi è un vero “salto” che porta alla comparsa di un essere umano. «Natura non facit saltus», recita il noto assioma. Volendo affermare il primato assoluto della libertà, il nostro tempo è determinato a non tener conto nemmeno delle regole più evidenti e più elementari della naturaPer questo cerca un inizio della vita che non sia quello del concepimento. Così sarà più facile affermare il diritto all’aborto. Ma è del tutto evidente che si tratta di una mistificazione fatta ad arte pur di decidere secondo i propri desideri e non secondo i dettami della natura.

Questo termine, in latino, è un participio futuro del verbo nasci (nascere) e letteralmente significa “ciò che sta per nascere”. A sua volta, deriva dalla parola greca φύσις il cui rimando, secondo Heidegger, è al termine φῶς (phaos/phōs) che significa “luce”. La sua radice corrisponde a quella del verbo phainō, che significa “mostrare”, “rendere manifesto”. Natura, dunque, vuol dire "luce". Vi è una stretta connessione tra la vita e la luce. Per questo quando nasce un bambino si dice che «è venuto alla luce».

Riprendendo il pensiero di Sant’Agostino, Hannah Arendt afferma che «l’uomo non “possiede” la libertà in quanto egli stesso o, meglio, il suo venire al mondo, è equiparato all’apparire della libertà dell’universo; l’uomo è libero perché è un inizio, così creato quando l’universo esisteva già: [Initium] ut esse, creatus est homo ante quem nemo fuit»1. Ciascun essere umano, nascendo, inaugura un initium temporale in cui tutte le cose create trovano senso2. In definitiva, l’inizio della vita è un dono e la nascita è una luce.

Ogni bambino che nasce è l’aurora di un mondo nuovo. Impedendo la nascita, l’aborto diventa un atto di oscuramento di una nuova luce che viene per illuminare il mondo e si qualifica come l’affossamento nel baratro del nulla di una meravigliosa novità. Promuovendo l’aborto, la cultura contemporanea preferisce il non-senso, l’oscurità e il nulla pur di non rinunciare alla possibilità di esercitare la libertà in modo prometeico. Sappiamo tutti, però, come finisce il mito di Prometeo.

 

 

1H. ARENDT, Tra passato e futuro (1961), Garzanti, Milano 1999, p. 222. La frase di Agostino è tratta dal De Civitate Dei, XII, 20.

2Cfr. H. ARENDT, La vita della mente, trad. it., il Mulino, S. Giovanni Persiceto (BO) 2006, p. 546.

 

 

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