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Nel 1965 Ignazio Silone scrisse a Lorenzo Milani: “La nostra tradizione esige che il prete sia un benpensante, un uomo d’ordine, un uomo dello statu quo, fascista sotto il fascismo, democratico in democrazia, socialista (perché no?) quando il sole dell’Avvenire sarà al suo meriggio. Chiunque si discosta da quella regola, viene perseguitato”.

 

 

 

Silone parlava di Milani (di cui celebriamo il centenario della nascita; 1923-1967), ma forse, senza troppe forzature lo si può dire di ogni cristiano, prete, vescovo, papa. Silone, da buon conoscitore dell’ambiente cattolico come di quello laico, individua in una triade il limite del cattolicesimo italiano: essere benpensanti, ligi all’ordine, garanti dello statu quo. A pensarci bene - a mio modesto avviso - Silone sta descrivendo una Chiesa cattolica nazionale che ha perso la sua capacità profetica; per questo non si sorprende di come stiano trattando Lorenzo Milani. Non è un problema personale, è un problema di fede. La fede non può essere ostaggio della triade di Silone; l’autenticità della fede è l’opposto di essa, si chiama profezia.

Non ci sono dubbi sul fatto che la nostra fede cristiana, a partire dalla sua radice ebraica, sia sostanzialmente profetica. La profezia è un “modo” con cui il buon Dio rivela il Suo volere. È rivelazione del piano di Dio nella storia e, al tempo stesso, è “giudizio” sulla comunità dei credenti e sul mondo perché questi ritornino a Lui con tutto il cuore (cf. Gl 2, 12-17). È continua presenza di Dio in mezzo al suo popolo: Dio parla “molte volte e in diversi modi per mezzo dei profeti, e sommamente parla per mezzo del Figlio, che ha costituito erede di tutte le cose e per mezzo del quale ha fatto anche il mondo” (cf. Eb 1). La profezia è impegno affidato ai discepoli dal Cristo perché siano suo segno nel mondo “predicando il Vangelo e compiendo prodigi” (cf. Mc 16, 17-20). La Scrittura contiene anche riferimenti precisi sul fatto che Dio non “farà mai mancare i suoi profeti” (cf. Gl 3, Am 2, 11-16). Sono stati questi dieci anni di pontificato profetici? Personalmente credo di si.

Lo sono stati perché profetico è stato il Vaticano II e Jorge Mario Bergoglio ne è sempre stato un suo fedele discepolo e interprete, anche da Papa. Tutti i temi da lui sottolineati sono temi conciliari: l’opzione preferenziale per i poveri; la povertà come frutto di una “economia che uccide”; un nuovo slancio missionario; la povertà e la sobrietà nella vita ecclesiale; l’impegno per la giustizia e la lotta contro la corruzione di tutte le istituzioni (Chiesa cattolica inclusa); il debellare la piaga della pedofilia; la collegialità episcopale; la sinodalità; la promozione del laicato; l’attenzione ad alcune prassi familiari; un rinnovato impegno ecumenico e dialogo interreligioso; l’accoglienza e la promozione di poveri e migranti; la cura della natura, per citare i maggiori.

Su tutti questi temi ed emergenze fondamentali il Papa è stato, ed è, profetico, perché ne legge la loro essenza alla luce della Parola di Dio e non ha nessuna paura di rimproverare, sferzare, insistere. Ha guardato spesso - si pensi alla pandemia e alla guerra in Ucraina - molto, ma molto più avanti di tanti vescovi, preti, religiose e fedeli laici, non solo italiani. Mi riferisco a coloro che misurano con il bilancino le parole; confondono la profezia con l’apparire sui media; discettano sulla opportunità di dire e fare qualcosa di concreto, per esempio su mali quali la corruzione e gli abusi su minori e donne nella Chiesa cattolica; non sanno dire di no a incontri pubblici a dir poco ambigui; hanno paura di opporsi a chi governa male. Certo anche il papa commette errori - di strategie, certamente, non di dottrina - ma questa non deve essere una scusa per non accogliere e attuare le sue proposte profetiche e ricascare così nella triade di Silone.

I profeti sono molto diversi tra di loro, come tutte le persone lo sono; ma ci sono anche alcuni elementi in comune. Bergoglio non è Milani; ma Bergoglio come Milani è una persona libera. Bisogna essere liberi interiormente per dire e operare da profeti. C’è una pagina di Milani che riporta a questa libertà con una durezza che fa bene a chiunque sa di mancare in termini di coerenza evangelica e vuole diventare più autentico. Scriveva il priore di Barbiana in “Esperienze pastorali”: “Vorrebbero ridurti a funzionario. Non sopportano che tu sia uomo, non sopportano che tu voglia intervenire nel tran tran della vita, che tu voglia smuovere le cose ferme, sovvertire un ordine che si sono dati e che di cristiano non ha più nulla. Si, insisto. Nulla. Perché cosa ci può essere di cristiano là dove si rifiuta al prete questo diritto di avvertire, di parlare, di scuotere? Ma che dico al prete. Là dove si rifiuta alla Parola di penetrare. E al pensiero, alla ragione. Dove si rifiuta alla Religione stessa d’entrare nei fatti della vita”.

 

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