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Non potendo corrispondere fisicamente all’invito giuntomi di essere presente, la domenica 6 settembre, alla festa che la Chiesa di Lecce ha preparato per i 90 anni del card. Salvatore De Giorgi, scrivo volentieri queste righe, richiestemi per sottolinearne la figura episcopale.

 

 

Le ragioni per cui non mi sottraggo ad una pubblica testimonianza sono diverse; tra quelle affettive e istituzionali, però, ce n’è una che prevale su tutte: sulla Cattedra della Chiesa di Oria (che egli occupò per tre anni, dopo esserne stato al servizio dal 1973 al 1978 come vescovo ausiliare del vescovo Alberico Semeraro prima e dopo coadiutore c.j.s.) io sono stato un suo successore. Quando, dunque, fui eletto per quella Chiesa e per telefono lo sentii da Palermo, avvertii nelle sue parole anche la commozione. Avrebbe potuto pur essere lui il primo vescovo ordinante nel sacro rito, ma l’arcivescovo Cosmo Francesco Ruppi aveva anch’egli per me - non ultimo in quel caso - titoli di paternità. A volere ad ogni modoconsiderare la cosa da un più lieve punto di vista e magari ottenere così anche un sorriso, c’è pure la cosiddetta «genealogia episcopale» che per lui e per me (come per la maggior parte dei vescovi della Chiesa cattolica) risale sino al card. Scipione Rebiba (1504-1577): un siciliano che a Palermo fece gli studi giuridici e teologici e ricevette pure gli ordini sacri «maggiori e minori» e che poi, nel 1573, divenne cardinale vescovo di Albano! De Giorgi ed io, dunque, siamo a più titoli nella «linea Rebiba».

Iniziando lì il mio ministero episcopale il 10 ottobre 1998, nel corso dell’omelia dissi: «Il soffio della nuova pentecoste conciliare alitò, poi, fresco durante l’episcopato di mons. Salvatore De Giorgi, che ora tutti noi salutiamo Cardinale di Santa Romana Chiesa. Egli, investito da viva ansia pastorale, prestò particolare attenzione all’opera evangelizzatrice, riorganizzando la catechesi e dedicandosi, soprattutto, all’iniziazione cristiana in ogni parrocchia. Egli fu pastore itinerante realizzando una visita pastorale e, nel suo magistero, ci ha lasciato una summa completa del magistero conciliare e post conciliare riguardo alle azioni ecclesiali dell’evangelizzazione, della liturgia e della carità. A lui giunga il nostro esultante saluto, in attesa di celebrare insieme, qui ad Oria, il 25° anniversario della sua ordinazione episcopale il prossimo 21 novembre».

In quelle parole, che pronunciai oltre vent’anni or sono, credo che ancora oggi si possa rileggere il tratto episcopale del cardinale. Alcuni di quegli impegni avevano le loro radici nella Chiesa di Lecce: in particolare il ministero parrocchiale (che nella «Santa Rosa» di quegli anni fu pionieristico: era la prima volta che la città aveva un «quartiere» nel senso moderno della parola e non un semplice «rione») e l’attenzione alla catechesi (guidando per molti anni l’ufficio catechistico che, nella Curia di quegli anni pre-conciliari era non solo il «primo» ufficio anche il «solo»). Il resto è frutto del Concilio Vaticano II del quale - ce ne rendevamo conto noi seminaristi di quegli anni - De Giorgi diveniva giorno dopo giorno figlio entusiasta. Del magistero di quel Concilio - «profezia» per il terzo millennio, come scrisse San Giovanni Paolo II - il cardinale ha voluto essere fedele discepolo ed eco costante. Molti suoi interventi sono stati scritti come sintesi, o prospettive conciliari.

Affettuosamente e sempre conservando il senso della fraternità, dell’amicizia e della stima ripeto all’occasione che, nel lungo viaggio del suo ministero episcopale, il card. De Giorgi ha sempre trovato la «coincidenza»: da Oria a Foggia; da Foggia a Taranto e da lì all’Azione Cattolica Italiana come Assistente ecclesiastico generale; alla Chiesa di Palermo, infine, dal 1996 al dicembre 2006. Si potrà sorridere, ma già nei semplici viaggi umani non è sempre facile scendere da un treno e salire in un altro, fare e disfare la valigia… sapendo scegliere ogni volta l’utile e il necessario senza ingombri e appesantimenti… Perché il viaggio è anche un pellegrinaggio dove tener fissi gli occhi sulla meta ultima è indispensabile per non fare dei giri a vuoto. E Salvatore De Giorgi gli occhi alla valigia e alla meta li ha sempre tenuti con umiltà, pazienza, fedeltà.

Consacrati per amore, inviati per amare è il titolo che la Chiesa di Palermo ha scelto per il volume preparato per la presente scadenza genetliaca, dove sono raccolte le omelie del Giovedì santo, tenute dall’arcivescovo De Giorgi durante la Messa Crismale presso la Cattedrale di Palermo nei dieci anni di episcopato in quella Chiesa.

Il titolo ha un evidente richiamo alla pagina di vangelo proclamata in quella Liturgia, dove si ripete il testo di Isaia: Lo Spirito del Signore è sopra di me; per questo mi ha consacrato con l’unzione e mi ha mandato (Lc 4,16; cf. Is 61,1). In simile circostanza nell’anno del Grande Giubileo del 2000, celebrando nella Cattedrale di Oria, dove tante volte anche il vescovo De Giorgi ha celebrato e predicato, dissi: «Unti e inviati. Il binomio è senz’altro inscindibile. Un’unzione che non si mette in missione, non è più “tradizione”, ma tradimento. Guai, quando l’unto non intraprende la missione. Il suo profumo svapora ed egli diventa sale scipito.

Ciò, lo sappiamo, vale per ogni unzione: battesimale, crismale e sacerdotale; vale per ogni vocazione nella Chiesa, vale per ogni cristiano, fedele laico, persona consacrata o ministro ordinato che sia. Non è, forse, proprio questa, la nostra ansia pastorale? Per questo lo Spirito ci unge e ci invia, per portare il Vangelo ai poveri, per fasciare le piaghe dei cuori spezzati, per promulgare il giubileo della misericordia. Se faremo questo, saremo chiamati sacerdoti del Signore e ministri del nostro Dio». Oggi per me bello ripeterlo al cardinale De Giorgi come rinnovati augurio: «Sarai chiamato sacerdote del Signore e ministro del nostro Dio».

                                                                                                                                                                                                                     *Vescovo di Albano

 

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