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Come anticipato da Portalecce (LEGGI), domenica prossima 29 giugno, solennità dei Santi Pietro e Paolo, l’arcivescovo Angelo Raffaele Panzetta, nuovo pastore della Chiesa di Lecce dallo scorso 18 giugno (LEGGI) riceverà il pallio dei metropoliti durante la solenne concelebrazione presieduta nella basilica di San Pietro dal Santo Padre Leone XIV.

 

 

 

 

Tradizionalmente, infatti, il 29 giugno, solennità dei Santi Pietro e Paolo, il Sommo Pontefice, procede all’imposizione del pallio agli arcivescovi metropoliti (a capo di una metropolia o provincia ecclesiastica con diocesi suffraganee). Secondo il codice di diritto canonico il metropolita deve richiedere il pallio entro tre mesi dalla sua nomina. Diversamente da quanto stabilito da Papa Francesco (i pallii venivano benedetti dal Pontefice e imposti dal nunzio apostolico nelle rispettive sedi arcivescovili), Papa Prevost è ritornato all'antica consuetudine: sarà lui, infatti, a benedire e a imporre il paramento liturgico ai nuovi metropoliti, tra cui anche il nuovo presule leccese.

A partire dal 2015, infatti, Bergoglio aveva modificato le modalità di conferimento allo scopo di rafforzare la relazione dei vescovi con la Chiesa locale e consentire a più fedeli di partecipare a un rito così significativo e, permettere, in modo particolare, ai vescovi delle diocesi suffraganee di essere presenti e concelebrare con il nunzio e con il nuovo metropolita. Così avvenne per l’arcivescovo Seccia l’8 settembre del 2018 (GUARDA): dopo aver ricevuto il paramento il 29 giugno 2018 dalle mani del Pontefice, gli venne imposto l’8 settembre successivo dall’attuale card. Emil Paul Tscherrig, all’epoca rappresentane del Santo Padre per l’Italia e San Marino (GUARDA).

Il pallio è una stretta fascia di stoffa tessuta in lana bianca, incurvata al centro così da potersi appoggiare sulle spalle sopra la casula e con due lembi neri pendenti davanti e dietro, così che “vista sia davanti che dietro” il paramento ricordi la lettera ‘Y’. È decorato con sei croci nere di seta, una su ogni coda e quattro sull’incurvatura, ed è guarnito, davanti e dietro, con tre spille d’oro gemmate a forma di spillone, o chiodo (acicula, diminuivo di acus  cioè ago). Esso rimanda all’immagine della pecorella raffigurata sulle spalle di Gesù Buon Pastore e simboleggia la comunione dei vescovi con il Papa. La lana per la confezione dei sacri palli proviene da agnelli allevati dalle religiose del convento romano di San Lorenzo in Panisperna e offerti ogni anno al pontefice dai Canonici Regolari Lateranensi in occasione della memoria liturgica di Sant’Agnese, il 21 gennaio. I palli vengono tessuti e cuciti dalle monache del monastero benedettino di Santa Cecilia in Trastevere e conservati nella basilica di San Pietro, in una teca posta ai piedi dell’altare della confessione, vicinissima al luogo della sepoltura dell’apostolo Pietro.

Con la parola pallium (mantello di lana) i Romani traducendo genericamente il nome del mantello greco, ἱμάτιον, contrapponevano l’abito forestiero alla toga romana. Il pallio, come la toga, non era un vero abito, ma un soprabito (gr. ἐπίβλαμα) di forma rettangolare (TertullianoDe pallio) che si poneva sopra la tunica. Vesti analoghe sono la paenula, la laena e la palla, tutte forme di epiblemata presso i Greci, o di amictus presso i Romani. Tuttavia, il gesuita Joseph Braun, nel suo libro magistrale, suggerisce per il pallio un’origine prettamente ecclesiastica. I Papi avrebbero voluto fin da principio il pallio sacro come insegna e sciarpa liturgica loro propria. Il Liber pontificalis nota che Papa San Marco (336) conferì il pallio al vescovo suburbicario di Ostia, uno dei consacranti del Romano Pontefice. Nel 513, Papa Simmaco concesse il privilegio del pallio a San Cesario d’Arles (Vita Sancti Caesarii). In seguito, si moltiplicarono le concessioni fatte dai pontefici a vescovi d’Italia e fuori d’Italia. Il pallio liturgico nelle rappresentazioni più antiche appare in forma di sciarpa aperta e disposta sopra le spalle. In tal modo lo si può notare nella figura dell’arcivescovo Massimiano (498-556) a San Vitale in Ravenna (prima metà del VI secolo). Un lembo del pallio segnato da una croce pende anteriormente sul lato sinistro della figura, mentre l’altro lembo sale sulla spalla sinistra, gira attorno al collo e, passando sulla spalla destra, scende assai basso dinanzi al petto, per tornare infine sulla spalla sinistra e ricadere dietro la schiena. Gli ornamenti del pallio, che si trovano illustrati già nel mosaico di Ravenna, vennero in seguito sempre più arricchiti. Si ricamarono quattro, sei od otto croci rosse o nere; all’orlo furono talvolta attaccate delle frange. Questo sta a significare che nel tempo il pallio ha subito svariate modifiche da parte dei pontefici ma il suo forte simbolismo permane. Difatti, abolita la tiara, è una delle insegne papali più evocative e viene imposto al Papa dal cardinale protodiacono nella sua messa d’inizio del ministero petrino.

I metropoliti sono autorizzati ad indossare il pallio solo nel territorio della propria arcidiocesi e nelle altre diocesi della loro provincia ecclesiastica. Solo il Papa indossa il pallio in qualsiasi occasione e luogo. Non può essere trasferito ad altri e, quando un metropolita muore, deve indossarlo anche nella sepoltura.

 

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