“È giunto il momento di sciogliere le vele. Ho combattuto la buona battaglia, ho terminato la mia corsa, ho conservato la fede. Ora mi resta solo la corona di giustizia che il Signore, giusto giudice, mi consegnerà in quel giorno; e non solo a me, ma anche a tutti coloro che attendono con amore la sua manifestazione”. (2 Tm 4, 7-8).
Nell’antica Roma, emerito era detto del soldato che aveva compiuto il servizio militare e ricevuto il congedo e i relativi premi. Dal latino emeritum, participio passato di emerere, cioè “ben meritare”, finire (ex) di prestare servizio. L’ufficio ecclesiastico si perde con lo scadere del tempo stabilito, raggiunti limiti di età definiti dal diritto (CJC 184 § 1). A colui che perde l’ufficio per raggiunti limiti di età o per rinuncia accettata, può essere conferito il titolo di emerito.
Il tema del vescovo emerito era del tutto marginale fino a quando la sua carica si estingueva con la sua morte. Il Concilio Vaticano II e le norme applicative hanno fissato a 75 anni il momento dell’uscita dal servizio alla diocesi.
Con la lettera apostolica Ecclesiae sanctae (1966) Paolo VI ha dato seguito alle indicazioni conciliari di Christus Dominus, fissando l’età delle dimissioni a 75 anni. Solo nel 2008 è uscito un documento ufficiale della Congregazione (oggi Dicastero) dei vescovi su Il vescovo emerito. Dove vanno? Cosa fanno? Non sono molti i vescovi emeriti che rimangono nella diocesi dove hanno esercitato il loro ministero. Un certo numero ritorna alla diocesi di origine della propria famiglia. Altri scelgono di servire la Chiesa in luoghi come i santuari o comunità religiosa. I religiosi fanno ritorno spesso nell’Ordine e nella congregazione da cui sono usciti. La loro attività principale è la predicazione. Ma sono assai disponibili per le confessioni, per la direzione spirituale e, quando il vescovo locale li chiama, per la confermazione e altre cerimonie religiose. Qualche volta ricevono compiti specifici come amministratori apostolici in diocesi vacanti o sono chiamati a servizi diplomatici dalla Santa Sede o investiti di ruoli da parte delle conferenze episcopali.
Vescovo emerito è il titolo previsto dal Codice di diritto canonico della Chiesa cattolica per quei vescovi che lasciano la guida di una diocesi, per raggiunti limiti di età, per motivi di salute o perché trasferiti ad altri incarichi non inerenti alla cura pastorale di una diocesi. Emerito è un titolo attribuito a una persona che, non esercitando più un determinato ufficio, ne gode comunque dei gradi e degli onori pur non svolgendone le funzioni.
La cessazione dell'incarico di vescovo, spesso per raggiunti limiti di età o per motivi di salute, non esaurisce i compiti pastorali di chi ha esercitato, spesso per molti anni, la figura di guida principale di una diocesi.
L'appellativo di vescovo emerito diventa quindi qualcosa di ben più importante che la semplice indicazione di "ex" vescovo.
Già nel Direttorio per il Ministero Pastorale dei Vescovi "Apostolorum Successores" del 2004 la Congregazione dei vescovi si era occupata di definire i diritti ed i doveri rispetto alla Chiesa Universale e a quella particolare del vescovo emerito.
In particolare, viene a risaltare l'impegno che possono assumere i vescovi emeriti negli organismi sovradiocesani e nella conferenza episcopale, così come sono importanti i rapporti fraterni tra vescovo diocesano e vescovo emerito.
Va precisato che la qualifica di "emerito" non va confusa con quella di "pensionato", perché quest’ultima comporta la rottura di ogni vincolo tra la persona e l’ufficio svolto… Invece, nel nostro caso, il vescovo rimane legato da vincoli giuridici, spirituali e affettivi alla diocesi che ha servito, pur cessando la sua giurisdizione su di essa. Perciò l’espressione "emerito" non va confusa neppure con quella di "collocamento a riposo", che indica la fine di ogni relazione tra un impiegato e il suo ufficio, con la conseguente cessazione di ogni diritto e dovere connesso con lo status riconosciutogli durante il rapporto di lavoro.
Ma veniamo alla diocesi di Lecce, che attualmente conta due vescovi emeriti: mons. Domenico D’Ambrosio e, da pochi giorni, mons. Michele Seccia (LEGGI https://www.portalecce.it/index.php/piazza-duomo-diocesi-di-lecce/l-arcivescovo-diocesi-di-lecce/20283-cambio-al-timone-della-chiesa-di-lecce-mons-panzetta-e-il-nuovo-arcivescovo-metropolita).
Proviamo a tracciarne le caratteristiche del loro rispettivo servizio pastorale, quale tessere del mosaico che va delineando la policromia della bellezza e della storia della chiesa di Lecce.
Il vescovo Domenico il 16 aprile 2009 è eletto alla sede metropolitana di Lecce, ricevendo il 29 giugno dello stesso anno il pallio da Papa Benedetto XVI (di v. m). nella basilica di San Pietro, il successivo 4 luglio prende possesso della cattedra di Lecce. Dal 29 settembre 2017 è arcivescovo emerito di Lecce. Il servizio pastorale di D’Ambrosio si è protratto per 8 anni fino al 76.mo genetliaco. Lo stemma di un vescovo è sicuramente ispirato e in qualche modo ne indica lo stile del suo servizio. Lo stemma di D’Ambrosio è di origine eucaristica e riprende la leggenda del pellicano nel deserto, che si trafigge il costato per dar da mangiare ai suoi piccoli; come Cristo muore sulla croce per la salvezza dell’uomo.
Gli auguri di Papa Francesco (di v. m.), con una lettera del 4 gennaio 2015, per l’arcivescovo metropolita di Lecce: “Impegno e diligenza profusi nel Sacro ministero”, che nella solennità dell’Epifania di quell’anno del Signore ricordava il 25° di Ordinazione Episcopale, sintetizzano l’eredità pastorale offerta in diocesi. Nell’occasione, inoltre, il presule ha voluto scrivere una lettera pastorale ai sacerdoti, dal titolo “Salire, stare, scendere”.
“A venticinque anni dalla mia ordinazione episcopale - scrive D’Ambrosio - e a cinquant’anni dalla ordinazione presbiterale ho pensato a un segno di gratitudine verso tutti voi mei compagni di viaggio nelle varie ‘trasferte’ che il Signore nei suoi imperscrutabili disegni e nell’obbedienza alla Chiesa ha voluto per me”.
“È nata da questa mia personale storia l’idea di una lettera - prosegue l’arcivescovo - che intende narrare la bellezza e la ricchezza della sovrabbondante grazia che il Sacramento dell’Ordine ha donato alla mia vita e l’immenso credito di fiducia che il Signore ha voluto aprire con me, nonostante i limiti e le miserie della mia evidente fragilità, a volte appesantita da risposte incerte, ritardi ingiustificati, generosità mancate, paure immotivate. Per questo ho scelto di offrirvi una lectio-meditatio di Ebrei 5,1-10 su Cristo Sacerdote misericordioso e fedele: un tentativo di salire per entrare nel mistero e poterlo annunziare e testimoniare ai fratelli”.
“Sono due i sentimenti che prorompono dal mio cuore sacerdotale e si originano dai due grandi doni che il Signore, senza alcun mio merito - ne sono intimamente convinto e consapevole - ha voluto elargirmi: rendimento di grazie, lode e benedizione che continuamente rendo al Dio Altissimo; ma soprattutto invocazione di misericordia e perdono perché il dono di grazia molto spesso non è stato da me accolto, vissuto e testimoniato nella fedeltà piena, sicura, generosa, radicale”.
Il 29 settembre 2017 Papa Francesco nomina mons. Michele Seccia arcivescovo metropolita di Lecce. Il 2 dicembre successivo assume il governo della nuova diocesi. Il motto è Adiutor gaudii vestri: “Noi non intendiamo fare da padroni sulla vostra fede; siamo invece i collaboratori della vostra gioia, perchè nella fede voi siete già saldi” (2Cor 1,24). Essere collaboratore della gioia è un impegno proprio del vescovo che, in quanto padre e pastore della comunità, deve trasmettere la fede comunicando la gioia quale dono dello Spirito Santo (Gal 5,22), manifestazione della vita nello Spirito, conseguenza della fede. Per la semplice ragione che la certezza della salvezza non può che causare gioia.
Mons. Michele, padre e pastore, in mezzo a noi per otto anni “come colui che serve’ ha messo a disposizione completa la sua persona, il suo ministero, con grande amabilità, puntando sul dialogo con tutti attraverso un’attenzione alle singole persone attraverso l’ ‘ascolto’ e disarmante umiltà.
Nel saluto alla diocesi, così si è espresso: “Da oggi, 18 giugno 2025, sono arcivescovo emerito di questa Chiesa. Ma rimango ‘collaboratore della vostra gioia’: la mia nuova condizione non cancella il bene fatto e ricevuto e, soprattutto, non elimina le belle relazioni stabilite in questi anni. Restiamo uniti con la preghiera, ve lo chiedo qui, davanti al sepolcro dell’arcivescovo Cosmo Francesco Ruppi, mio predecessore, ma soprattutto mio grande maestro di servizio episcopale: pregate per me e io ogni giorno prego per voi. Il Signore, per intercessione della Vergine Assunta in cielo, titolare di questa stupenda chiesa cattedrale e dei Santi Patroni, Oronzo, Giusto e Fortunato, benedica il nostro nuovo arcivescovo Angelo Raffaele e benedica tutti voi. Egli vi protegga oggi e per sempre”.
Ai vescovi emeriti in segno di affettuosa vicinanza spirituale e di vivo apprezzamento per il servizio pastorale svolto si auspica loro che vivano con fede e con gioia la nuova stagione del loro ministero di vescovi della Chiesa di Cristo