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“Mi rimangono nel cuore la sua ricchezza umana, la vivacità dell’animo e la fecondità della spiritualità”.

 

 

 

 

 

A parlare è il “nostro” card. Marcello Semeraro, prefetto del Dicastero per le cause dei santi, per anni stretto collaboratore di Papa Francesco come segretario del Consiglio dei cardinali. All’indomani dei funerali, il porporato racconta il legame personale con Bergoglio e riflette sull’eredità spirituale, pastorale e istituzionale lasciata dal Pontefice.

 

 Eminenza, lei ha servito Papa Francesco fin dai primi giorni del suo pontificato, in qualità di segretario del Consiglio dei cardinali, ma lo ha conosciuto personalmente fin dai tempi dell’attentato alle Torri Gemelle. Che ricordo ha di questi dodici anni?

 

Effettivamente il mio primo incontro con il card. Bergoglio accadde nei primi giorni della X Assemblea generale del Sinodo dei vescovi (settembre/ottobre 2001), cui egli intervenne pure come relatore aggiunto per le ragioni da lei accennate. Quell’iniziale rapporto di collaborazione si trasformò gradualmente in amicizia e in familiarità, sostenute dai vari incontri attuati negli anni in occasione delle sue venute a Roma, mentre io ero vescovo nella vicina Chiesa di Albano.

 

 

E prima dell’elezione al Soglio di Pietro?

 

Anche prima dell’inizio del Conclave del 2013 trascorremmo alcune ore insieme ed io gli proposi di andare a visitare le Ville pontificie di Castel Gandolfo prima di rientrare a Buenos Aires. Neppure lontanamente pensavo a una sua chiamata sulla cattedra di Pietro, che invece avvenne.

 

 

Come è nato poi il vostro rapporto di collaborazione più stretto?

 

Ci fu subito dopo la sua richiesta di collaborargli in quello che sarebbe stato il “Consiglio di cardinali”. Come sottrarmi? All’amicizia, dunque, si affiancò di nuovo la collaborazione ed è quanto ho avuto il dono di vivere sino al 14 aprile scorso, quando ho avuto la possibilità d’incontrarlo di persona per l’ultima volta.

 

 

Che ricordo le resta di quell’ultimo incontro?

 

Allora ho veduto in lui anche la personificazione della fragilità umana; tutte le altre volte la sua apertura del cuore. Nella memoria, dunque, mi rimangono la sua ricchezza dell’humanum - anche gioioso, ilare e ricco di humour -, la vivacità del suo animo e la fecondità della sua spiritualità. Un saggio che nel 2023 scrissi su di lui è titolato “Il francescanesimo di un papa gesuita”. Lo riscriverei.

 

 

Papa Francesco ha voluto che il suo funerale fosse celebrato secondo il nuovo Ordo exsequiarum romani pontificis, da lui stesso approvato nel 2024, che prevede riti più sobri e pastorali. Come interpreta questa scelta?


Quel testo ci fu inviato dall’Ufficio delle celebrazioni liturgiche nel novembre 2024. Nel rescritto si legge che era stato lo stesso Papa Francesco a chiedere “di semplificare e adattare alcuni riti in modo che la celebrazione delle esequie del vescovo di Roma esprimesse meglio la fede della Chiesa in Cristo risorto, eterno pastore”. Fu una scelta conseguente al suo stile pastorale, valida per chiunque e in qualsiasi modo sia giunta la voce di Gesù che dice: “Pasci le mie pecore” (Gv 21,17).

 

 

La decisione di essere sepolto nella basilica di Santa Maria Maggiore, anziché in San Pietro, ha suscitato molta attenzione. Come giudica questa scelta?

 

A dire il vero ci sono altri papi sepolti in quella basilica mariana. È una scelta conseguente alla sua devozione per la Salus populi romani, come dal XIX secolo è invocata l’antica icona raffigurante la Madonna col Bambino lì conservata.

 

 

Ci sono precedenti anche recenti?

 

Sì. Anche Pio IX (1878) non è sepolto in San Pietro, ma in San Lorenzo fuori le Mura; come pure Leone XIII (1903) è sepolto nella basilica di San Giovanni in Laterano. Francesco, dunque, non rompe una “tradizione secolare”, ma ha fatto una scelta, che oggi leggiamo annunciata nel Testamento del 29 giugno 2022.

 

 

Papa Francesco ha spesso insistito sulla sinodalità e sulla riforma della Curia. Qual è l’impatto che lascia sulla Chiesa?

 

Che le strutture della Chiesa - e fra queste pure la Curia romana - abbiano bisogno di adattamenti per rispondere ai bisogni del tempo mi pare ovvio. La costituzione apostolica Praedicate evangelium colloca la riforma “nel contesto della missionarietà della Chiesa”, in continuità con le precedenti riforme e, in continuità con le precedenti riforme dichiara la sua intenzione “di meglio armonizzare l’esercizio del servizio della Curia col cammino di evangelizzazione, che la Chiesa, soprattutto in questa stagione, sta vivendo” (Preambolo, n. 3).

 

 

Non è la prima volta che accade?

 

Anche prima di Francesco ci sono stati “aggiornamenti” e adattamenti, penso più da vicino a San Paolo VI e a San Giovanni Paolo II. “Evangelizzare è la grazia e la vocazione propria della Chiesa, la sua identità più profonda. Essa esiste per evangelizzare”, ha scritto Paolo VI in Evangelii nuntiandi. Per questo non bisogna meravigliarsi di nuovi aggiornamenti.

 

 

Perché, allora, meravigliarsi se per tale ragioni si dovesse pensare all’ipotesi di un nuovo “aggiornamento”.

 

Non è ancora vero, come disse Francesco nel suo Discorso alla Curia Romana del 21 dicembre 2019, che “quello che stiamo vivendo non è semplicemente un’epoca di cambiamenti, ma è un cambiamento d’epoca”?

 

 

E sulla sinodalità?

 

Quanto alla sinodalità, a mio parere vale quanto si legge nel documento della Commissione teologica internazionale del 2018 che, alla luce delle fonti normative e dei suoi fondamenti teologali, “designa innanzi tutto lo stile peculiare che qualifica la vita e la missione della Chiesa …” (n. 70). Il resto o è attuazione, oppure è superfluo e dannoso.

 

 

Nel suo ruolo di prefetto del Dicastero per le cause dei santi, ha conosciuto da vicino la spiritualità di Papa Francesco. Quali aspetti ritiene esemplari per il popolo di Dio?

 

In tema di santità mi tornano alla memoria le parole di Francesco nel n. 7 dell’esortazione Gaudete et exsultate, e da lui tante volte ripetute, dove parla della “santità della porta accanto”. Non è una semplificazione della vita cristiana, ma un rimando forte alla vocazione alla santità di cui ha parlato il Vaticano II, ch’è poi l’unica vocazione davvero “universale”.

 

 

Quindi la santità è accessibile a tutti?

 

Sì, le altre vocazioni di un cristiano o s’innestato su questa, o non sono che vanità.

 

 

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Mi curo di te, la sanità nel Salento. Radio Portalecce