Con la prostrazione ai piedi dell’altare spoglio, nel silenzio più assoluto quale segno di attonimento della Chiesa e del mondo dinanzi al mysterium tremendum della morte di Cristo, è iniziata presso il Monastero delle Benedettine di Lecce, la celebrazione della Passione del Signore presieduta dall’arcivescovo coadiutore Angelo Panzetta.
Dopo la proclamazione del vangelo della Passione del Signore secondo l’evangelista Giovanni, il presule ha edificato i presenti partecipando a tutti quanto sgorgava dal suo cuore di innamorato di Cristo, ancor prima che di teologo e padre nella fede.
L’arcivescovo ha fatto notare che l’evangelista Giovanni non presenta Gesù come lo sconfitto, la vittima di un sistema iniquo che contro la sua volontà lo ha condannato a morte e lo ha ucciso. Al contrario, “in questo racconto giovanneo il Signore presenta se stesso come il Signore dal primo all’ultimo istante della sua passione. Egli è Colui che non subisce gli eventi ma di essi ne diviene il padrone assoluto. Egli è il Re Crocifisso già risorto perché Dio in Gesù ha regnato dalla Croce che diviene trono regale”. Perché questa prospettiva così gloriosa? Ecco la risposta dell’arcivescovo Panzetta: “Per il suo amore che ha fatto della passione ingiusta e acerba, un evento regale, in una manifestazione di Dio”.
La prima nota che il presule ha sottolineato è l’atteggiamento col quale vivere la sosta adorante presso la croce: con gioia. Ha infatti dichiarato mons. Panzetta: “Stiamo attenti a considerare non solo il dolore immane della croce, patibolo infame, ma anche e soprattutto la sua fecondità”. Nella tradizione cristiana e iconografica, infatti, ha rimarcato l’arcivescovo: “la croce è un legno fiorito perché essa ha generato cose nuove”.
Ad averle generate è stato l’amore divino per noi: “Il grido ‘Tutto è compiuto’, indica che su quella croce il Signore era felice perché aveva dato compimento all’opera di salvezza per tutti noi. La Croce è il nostro grembo: da lì tutti noi siamo nati. Siamo sgorgati dal Costato squarciato del Signore. Siamo cristiani perché generati da questo amore manifestato nell’inenarrabile e acerbissima Passione, crocifissione e morte di Gesù. Ecco perché anche noi sotto la Croce dobbiamo essere felici e grati perché nati dal costato di Cristo squarciato per amore”.
Sì, essere traboccanti di gioia proprio nel Venerdì Santo perché sulla Croce “l’ultimo umano respiro di Gesù è anche il primo dono del Signore cioè la generazione della Chiesa, della nostra vita di credenti mediante il dono dello Spirito. Ciò che è accaduto agli albori della creazione quando lo Spirito di Dio aleggiava sulle acque e un alito di vita veniva infuso nelle narici di Adamo, è accaduto in modo nuovo e compiuto sulla Croce”. Ha dunque chiosato l’arcivescovo con parole di indicibile bellezza: “l’ultimo respiro di Cristo è il primo vagito della Chiesa, di ciascuno di noi che abbiamo ricevuto vita dalla sua morte”.
Dopo l’omelia e la preghiera universale, il celebrante, i ministranti, le monache benedettine e tutta l’assemblea hanno adorato la Croce e il canto degli Improperia e del Crux fidelis eseguito dai Viri Cantores de Finibus Terrae diretti dal maestro Giuseppe Lattante hanno donato il giusto climax a tale significativo e commovente atto.
La celebrazione si è conclusa dopo la comunione con la benedizione sull’assemblea che ancora una volta si è sciolta in silenzio dopo aver scoperto nel costato aperto, come dice san Giovanni Crisostomo, il tempio dischiuso e quel tesoro “dove ho la gioia di trovare splendide ricchezze e il latte” col quale Egli nutre la vita della sua Chiesa, di tutta l’umanità che già celebra la sua Pasqua.
Racconto per immagini di Arturo Caprioli.