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Nel calendario liturgico, proprio della Chiesa di Lecce, il 6 novembre, lunedì prossimo, si celebra l’anniversario della Dedicazione della cattedrale, chiesa madre di tutti i fedeli e centro della vita liturgica diocesana.

 

 

 

Un po’ di storia. Una lapide latina posta a mancina di chi entra in cattedrale dall’ingresso laterale ricorda che la prima domenica di novembre del 1757 (che quell’anno cadeva il 6 di novembre) il vescovo Alfonso Sozj Carafa (1751-1783) riconsacrò con rito solenne il sontuoso nuovo tempio, ricostruito tra il 1659 e il 1670 dall’architetto Giuseppe Zimbalo per volontà del vescovo Luigi Pappacoda (1639-1670) e internamente arredato e decorato essendo vescovi lo stesso Pappacoda e i tre Pignatelli, Antonio (1671-1682), Michele (1682-1695) e Fabrizio (1696-1734).

Francesco Antonio Piccinni nelle sue “Notizie di Lecce” annota che la riconsacrazione avvenne “per il solo dubbio se nella nuova fabbrica si fosse uscito dagli antichi e primi fondamenti”.

Difatti, la riconsacrazione avveniva nell’anniversario della prima consacrazione del tempio che ancora si celebrava con sacri riti e con una fiera o paniere che si svolgeva per otto giorni nel cortile del vescovado (oggi Piazza Duomo) e alla quale accorrevano mercanti da diverse parti del Regno con vari tipi di mercanzie (evento che è tornato quest’anno dopo 42 anni di sospensione). È da sapersi, inoltre, che per consuetudine i compratori e i venditori offrivano una “regalia” al vescovo presentata su un vassoio chiamato in dialetto spasa, per cui tale fiera era anche detta “spasa di Monsignore”.

L’anniversario di questa dedicazione viene ancora oggi solennemente festeggiato non tanto per celebrare un edificio fatto di pietra (per quanto bello possa essere) o per ricordare tradizioni del passato (che talvolta rivivono), ma per rammentare che siamo noi le “pietre vive per la costruzione di un edifico spirituale, per un sacerdozio santo, per offrire sacrifici spirituali graditi a Dio, mediante Gesù Cristo” (1 Pt 2,5) e per rinsaldare la comunione con il vescovo (che nella Cattedrale insegna, celebra e governa) e tra di noi. Diceva, infatti, Sant’Agostino: “La dedicazione della casa di preghiera è la festa della nostra comunità. Questo edificio è diventato la casa del nostro culto. Ma noi stessi siamo casa di Dio. […] Quello che qui avveniva mentre questa casa si innalzava, si rinnova quando si radunano i credenti in Cristo. Mediante la fede, infatti, divengono materiale disponibile per la costruzione come quando gli alberi e le pietre vengono tagliati dai boschi e dai monti. Quando vengono catechizzati, battezzati, formati sono come sgrossati, squadrati, levigati fra le mani degli artigiani e dei costruttori. Non diveniamo tuttavia casa di Dio se non quando siamo uniti insieme dalla carità”. Quindi esortava: “Quanto qui vediamo fatto materialmente nei muri, sia fatto spiritualmente nelle anime; e ciò che vediamo costruito nelle pietre e nei legni, si compia nei vostri corpi per opera della grazia di Dio” (Discorso 336).

 

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