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La gente fa fatica a ripristinare gli aspetti consumistici del Natale, perché confliggono con quei comportamenti richiesti dalla lotta alla pandemia.

 

 

 

Ne viene fuori un clima prenatalizio caratterizzato dall’ansia, dalla preoccupazione, dalla paura di non festeggiare il Natale di sempre, di non onorare a dovere il mercato, i consumi, le vacanze invernali.
Il consumismo, già da decenni, ha attutito il senso cristiano del Natale; la pandemia, in pochi mesi, ha messo in crisi il consumismo; nella società rimane tanta ansia, tanta incertezza, tanto vuoto.

È questo il contesto in cui come Chiesa siamo chiamati ad annunciare il prossimo Natale del Signore e a celebrarlo all’insegna dell’essenzialità del Mistero: ci viene dato un Bambino, un Consigliere ammirabile, un principe di pace. Nessuna restrizione antipandemica può ostacolare questo meraviglioso incontro: il Signore è ormai vicino, canteremo gli ultimi giorni della novena del Santo Natale. Celebrare l’imminenza della venuta del Signore Gesù nel mistero del Santo Natale ci farà vivere una scintilla di parusia, uno sprazzo della luce dell’ottavo giorno. Il ricordo storico della nascita del Verbo divino nella natura umana circondato da poveri pastori diventa il punto d’appoggio per lanciare lo sguardo al Signore che verrà nella gloria con tutti i suoi angeli. Il paesaggio incantato del presepe ci riporta al racconto della creazione della Genesi: infatti la nascita del Bambino Gesù, il Verbo venuto ad abitare in mezzo a noi riporta l’uomo a riprendere casa nell’Eden: Dio si è fatto uomo, perché l’uomo diventi come Dio (come recita l’antico adagio patristico).

Nel silenzio della stalla di Betlemme già appaiono i tratti essenziali del regno di Dio, che Gesù annuncerà all’età di trent’anni.
La povertà che circonda il presepe di Betlemme non è miseria, ma è come un manto che avvolge la sublimità dell’umanità del Signore e, nella sua umanità, avvolge la sublimità della nostra umanità, la sublimità dell’umanità del povero, del malato, dell’indesiderato. Nella stalla di Betlemme viene ristabilito il principio che nulla deve essere più importante dell’essere umano. “Opus Dei plasmatio hominis” dice Sant’Ireneo, vescovo di Lione, nel commentare la creazione dell’uomo e della donna. Infatti, non riferendosi alle stelle del firmamento, Dio disse di averle create a sua immagine, ma quando creò l’uomo e la donna.
Il presepe, il luogo dove apprendiamo che Dio ci ama a prescindere se anche noi lo amiamo, è davvero anticipazione del regno di Dio dove l’amore verso Dio e l’amore di Dio verso di noi sono allineati perfettamente l’uno nell’altro, dove il desiderio non ha più ragione di esistere perché l’amore è pieno, traboccante.
Il Natale viene anche per noi, presbiteri e diaconi, che dobbiamo organizzare il Natale. Anche noi, come ripete spesso, l’arcivescovo, siamo “invitati alla mensa del Signore”, noi che siamo i ministri di quella stessa mensa, noi che dobbiamo servire gli invitati, anche noi siamo invitati a sedere e gustare “quanto è buono il Signore”. Anche noi viviamo fino in fondo il Natale, lasciamoci raggiungere dalla meraviglia del Natale. A noi tocca, nello stesso tempo, annunciare e adorare il Natale del Signore.
Adorare mentre annunciamo, annunciare mentre adoriamo. Sant’Agostino è più geniale nell’esprimere questa stupenda realtà. In un’omelia sul Simbolo della fede, rivolto ai catecumeni, esclama: “Figlio di Dio non concepito da nessuna madre, figlio dell'uomo senza il seme d'un padre, che nel venire ha portato a una donna la fecondità, senza con questo toglierle l'integrità. Che è mai questo? Chi lo potrà dire? Ma anche chi tacere?” (Sermo 215).

*vicario generale

 

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