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Nella scorsa puntata abbiamo visto come la prima agiografia oronziana in assoluto compaia tra le pagine dell’Apologia Paradossica di Jacopo Antonio Ferrari del 1571.

Si tratta, tra l’altro, di un racconto che differisce, almeno in alcuni dettagli, da quella che sarà la versione ufficiale della vicenda del santo adottata in seguito dalla Chiesa di Lecce. Secondo l’Apologia infatti, Giusto (identificato dall’autore con il personaggio citato in Col 4,11) è un giudeo che, abbracciata la fede cristiana, è divenuto membro della cerchia di discepoli di Paolo. Da questi viene spedito da Corinto in Italia, al fine di preparare il terreno alla venuta dell’apostolo nella capitale. Sbarcato nella marina leccese, viene accolto da Oronzio, giovane ed influente patrizio del posto, che riceve il battesimo con l’intero suo casato. Conclusa la missione a Roma, Giusto parte per la Grecia con Oronzio. Qui Paolo conferisce ai due un’autorità gerarchica. Rientrati in Puglia, Oronzio assume l’episcopato di Lecce e, con l’aiuto del compagno, si dedica ad evangelizzare la città, combattendo il paganesimo. I due santi sono però arrestati e decapitati nella prima domenica di settembre dell’anno 68. Venera, una ragazza cristiana, ne seppellisce pietosamente i corpi mentre il neofita Fortunato (del quale non si accenna ad alcun legame di parentela con Oronzio) ne raccoglierà il testimone, prima di finire anch’egli martire.

Come già detto, tale narrazione implica tutta una serie di interrogativi. Innanzitutto, c’è da chiedersi se l’autore dell’Apologia abbia potuto inventare di sana pianta l’intero racconto. La risposta è no. Certo, il Ferrari si mostra spesso privo di senso critico e non è escluso che, trattando della passio oronziana, abbia potuto accentuare qualche aspetto o marcare alcuni elementi. Tuttavia, impegnato com’era a rappresentare Lecce in una disputa politica contro Cosenza e Capua per il primato nel parlamento napoletano, non avrebbe mai spacciato una storia fasulla, correndo il rischio di essere clamorosamente smentito. Ma allora da dove trasse le notizie che riferisce? Leggendo le sue pagine con attenzione si nota come egli asserisca, per ben tre volte, di ricavare l’agiografia oronziana da un’antica pergamena scritta a caratteri longobardi. Questi dati sono troppo esigui per identificare una fonte che, in ogni caso, non ci è pervenuta. Pur tralasciando il fatto che, ai tempi del Ferrari, il termine “longobardico” indicava qualsiasi tipo di codice di ardua decifrazione, un testo del genere potrebbe andare dal VI sec. (epoca in cui comparvero le prime scritture barbariche) sino allo stesso XVI sec. in cui visse l’autore e che segnò il tramonto della scrittura gotica nel Sud Italia. Un arco di tempo decisamente troppo ampio per stabilire dei punti fermi sulla questione.

Mons. Luigi Protopapa, da parte sua, intendeva le parole dell’Apologia in senso stretto e dunque si diceva convinto che la fonte del Ferrari dovesse risalire al VII-VIII sec., periodo della calata dei Longobardi nel Salento. Se tale ipotesi fosse valida avvalorerebbe l’idea che, in altra occasione, ci siamo permessi di proporre su queste colonne e cioè che Sant’Oronzo sia stato venerato in alcune cerchie di fedeli di origine longobarda e che il suo culto avesse in qualche modo dei punti di contatto con quello, ben più diffuso, dell’arcangelo Michele. In ogni caso, forse più che elaborare ipotesi su documenti che, allo stato attuale delle ricerche, non risultano disponibili, bisognerebbe rivalutare la persistenza di una memoria agiografica nella tradizione orale di un territorio.

           

                                                                                                                            

             

 

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