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Mai espressione è stata più giusta come “colabrodo” se riferita alla situazione attuale della scuola italiana. La motivazione giustificativa ci deriva da una prima analisi dei risultati dell’ultimo Rapporto Invalsi, presentato a Roma il 7 luglio 2022.

 

 

 

Il dato eclatante consiste nell’affermazione che solo poco più della metà degli studenti di scuola secondaria di primo grado e dell’ultimo anno di scuola secondaria di secondo grado raggiunge risultati adeguati, mentre tutti gli altri, anche se hanno conseguito il titolo finale, restano ben al di sotto di questo livello.

Accanto alla dispersione scolastica, definita, esplicita (cioè coloro che non conseguono il titolo finale), che raggiunge una percentuale del 13,5, c’è una forte dispersione implicita riferita agli studenti che, sia pure con il conseguimento del titolo, nelle tre aree indagate (italiano, matematica e inglese) non raggiungono competenze accettabili. La percentuale di costoro, per Invalsi, è del 9,8 %.

Il totale è dunque del 32,1 per cento, cui va aggiunto un ulteriore 30 per cento che non raggiunge risultati “adeguati”.

Chiunque abbia i più elementari rudimenti di aritmetica sarà in grado di concludere che il 62,1 percento dei nostri studenti sono “impreparati”, almeno per i compiti richiesti dall’attuale società.

Quel che sorprende è che questi risultati sono passati nella quasi totale indifferenza o, al massimo, sono stati giustificati dalla ormai solita “pandemia”, dalla “dad”, ecc.

In realtà, in questi anni, non è mancata la valutazione dei ritardi e degli squilibri della scuola italiana, bensì la “politica scolastica”.

La classe dirigente nel nostro Paese non ha ancora compreso che quello per la scuola non è un costo, ma un investimento.

Da noi, diversamente che da altri Paesi, come la Finlandia e la Corea del Sud, la spesa ancora in esame per l’istruzione è rimasta sotto la media Ocse; la formazione dei docenti (iniziale e in servizio) è ancora in discussione, se si eccettua la scuola dell’infanzia e primaria, come attestano le rilevazioni internazionali.

Le proposte di carriera degli insegnanti si sono infrante contro gli scogli di un’alleanza immobilistica che ha visto sottobraccio sindacati, burocrazia e politici, impegnati in sanatorie miranti a lucrare consensi elettoralistici.

Solo per inciso, vala la pena ricordare che gli interventi mirati a migliorare la quantità e la qualità degli interventi formativi nel Mezzogiorno, che hanno alimentato un vero “Progettificio scuola” (Fes; Fesr; Pon), hanno finito per documentare clamorosi fallimenti.

Seguiranno la stessa via anche i 500 milioni offerti dal Pnrr che, distribuiti a pioggia, finiranno per discriminare proprio le scuole più a rischio?

Una frase emblematica, in tutta la sua sconcertante verità torna alla memoria: “un Paese non può essere ricco e stupido per più di una generazione!”.

E l’attuale andamento dell’economia ci conferma che questo Paese non sarà nemmeno “ricco”, ammesso che lo sia mai stato. Sarà in grado di capirlo chi governa oggi l’Italia?

 

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