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Nelle scorse puntate abbiamo visto come la ricezione in Occidente dell’apocrifa Storia di Giuseppe il falegname abbia fatto assurgere la figura del carpentiere di Nazareth alla dignità di patrono della buona morte.

 

 

Dal medesimo humus spirituale si sarebbe poi generato, in tutta l’Europa cattolica, il fenomeno delle confraternite che, venerando in maniera specifica il santo, si dedicavano alla cura degli agonizzanti, alla sepoltura dei morti, al conforto di quanti erano nel lutto ed alla preghiera di suffragio. C’è tuttavia ancora un aspetto da approfondire. Il testo della Storia di Giuseppe termina con lo stupore degli apostoli dinanzi al racconto fatto da Gesù: perché Dio non ha concesso all’uomo prescelto come padre putativo del Salvatore la stessa sorte riservata al patriarca Enoch ed al profeta Elia?    

Stando alle Scritture, Enoch ed Elia hanno avuto un destino piuttosto singolare, anzi unico: non avrebbero sperimentato la morte. Alcuni suggestivi passi della Genesi, del Secondo Libro dei Re e del Siracide raccontano infatti come essi siano scomparsi misteriosamente dalla terra. Nel Tardogiudaismo iniziò dunque a diffondersi la convinzione che i due personaggi, presto associati per il comune destino, continuassero in realtà a vivere in una dimensione soprannaturale e sarebbero tornati nel mondo agli albori dei tempi messianici. Una traccia di tale idea è riconoscibile anche nel Vangelo di Matteo, dove il Battista è presentato nelle vesti di nuovo Elia mentre, intorno ad Enoch, fiorì già qualche tempo prima dell’era cristiana una variegata letteratura di stampo apocalittico. La Chiesa ereditò dalla Sinagoga l’amore per le due eccezionali figure, posticipandone la ricomparsa all’epoca escatologica, immaginandoli dunque come annunciatori del ritorno del Figlio di Dio. Su questo punto, i padri ed i dottori ecclesiastici sono concordi. Enoch avrebbe convertito al cristianesimo gli ultimi popoli pagani, Elia i giudei (ancora oggi il banchetto cerimoniale della Pasqua ebraica prescrive la presenza di una sedia da lasciare libera per l’eventuale ritorno del profeta). In ogni caso, i due sarebbero finiti martiri nella tremenda persecuzione scatenata dall’Anticristo. Per tal motivo, ad esempio, l’antico rito carmelitano prevedeva i paramenti rossi per la memoria liturgica di Elia, esaltando anticipatamente il profeta come martire.

Giuseppe, pur chiamato ad un compito altissimo, non avrebbe condiviso un destino del genere. Lui, celebrato come Lumen patriarcharum, luce dei patriarchi, doveva concludere la propria esistenza come i patriarchi della genealogia messianica cioè con una morte che fosse d’esempio ai futuri cristiani. Così, per secoli i maestri di spirito avrebbero ricordato dai pulpiti ed insegnato ai fedeli come il miglior modo di morire, esclusa l’immensa grazia del martirio, non poteva che essere quello del vecchio falegname di Galilea, spirato con il conforto della Vergine e fiducioso nel nome di Gesù.     

      

 

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