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Succedeva che il pastore, trascorrendo molte ore insieme alle pecore, conducendole al pascolo, alimentandole, mungendole, accudendole una ad una e, talvolta, raccogliendo nelle braccia gli agnellini incapaci di reggersi sulle zampe, li considerasse animali di compagnia ed instaurasse con essi una profonda familiarità.

All’individuo che si dimostra debole di carattere, privo di volontà, di iniziativa o di coraggio, si appropria il modo di dire: megghiu nu giurnu te lione ca centu te pecura, meglio un giorno da leone che cento da pecora, appaiato all’altra espressione: ci pecura se face lu lupu se la mangia, chi pecora si fa il lupo se la mangia.

La reazione spontanea della pecora, appena alleggerita dal vello, era quella di fuscìre comu n’aunu caruppatu o comu na pecura caruppata, fuggire come un agnello o una pecora tosati; la frase è indirizzata a chi corre velocemente, scappa a gambe levate per essere stato protagonista di un fatto spiacevole che ha provocato paura ed agitazione psico-fisica.

Secondo la morale vigente nel passato le donne dovrebbero ritirarsi in casa all’imbrunire, come le pecore, perché di sera tanto le une quanto le altre sarebbero solite sbandarsi, perdersi e non ritrovare la via di casa; da questa discutibile similitudine è scaturita la frase: pecure e fimmene alla calata te lu sule oppure quandu minte lu sule, pecore e femmine al calare del sole…tutte al riparo!

Il modo di dire vane prima l’auni de le pecure, vanno prima gli agnelli delle pecore, contiene la triste constatazione che talvolta muoiono prima i giovani dei vecchi, sovvertendo le leggi della natura.

Quest’altra espressione: la pecura se cratta lu culu collu cornu, la pecora si gratta il culo con le corna, si pronunciava con tono di ammirazione quando qualcuno si aiutava come meglio poteva.

Notoriamente per rendere masticabile la carne di pecora sono richieste molte ore di cottura: e’ de pecura e nu se coce, è (carne) di pecora e non si cuoce, lo sa bene la massaia sprovveduta ed esasperata dalla cottura estremamente lunga; con un pizzico di sarcasmo, l’espressione si adatta a chi è duro di comprendonio, non afferra subito i concetti.

Un’altra espressione esprimeva lo stato di all’erta del contadino: celu a pecuredde acqua a quartaredde, cielo a pecorelle acqua (pioggia) a caldaie oppure celu pecurinu l’acqua stae ncaminu, cielo pecorino l’acqua è in cammino.

Per approfondire: R. Barletta, Cane nu mangia cane. Bestiario popolare salentino, Edizioni Grifo, 2013.

 

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