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Scorrendo la cronotassi dei vescovi leccesi c’è una figura che subito balza all’occhio ed è quella di Antonio Pignatelli (1615-1700) che, dal difficile conclave del 1691, uscirà eletto pontefice con il nome di Innocenzo XII.

Innocenzo XII

Ad uno sguardo superficiale, il capoluogo salentino, sembra conservare ben poche tracce della sua presenza e solo la notevole biblioteca Innocenziana, sita nei locali dell’antico seminario, ne tramanda la memoria. In realtà, il Pignatelli resta un personaggio da riscoprire, anche al fine di riportare alla luce una interessante pagina di storia cittadina.

Le cause che determinarono la sua nomina alla cattedra leccese sono, del resto, un piccolo giallo ecclesiastico. Antonio era originario di Spinazzola, ragguardevole centro appartenente, all’epoca della sua nascita, al territorio lucano ed in seguito aggregato invece alla Terra di Bari. Discendeva inoltre da un’insigne famiglia dell’antica nobiltà di spada campana che, con diversi rami, si era estesa in tutte le regioni meridionali come in Spagna. Un casato che avrebbe dato alla Chiesa di Lecce altri due vescovi (Michele e Fabrizio, immediati successori di Antonio) ed alla Chiesa Universale un santo (Giuseppe, restauratore dell’ordine gesuita dopo la soppressione clementina). L’emblema della dinastia, con le tre pignatte nere in campo dorato, è ancora oggi visibile nel nostro duomo.

Il futuro papa aveva svolto diversi importanti incarichi nel corso della sua carriera ecclesiastica, come quello di inquisitore a Malta, di governatore a Viterbo e di ambasciatore in Polonia, prima di vedersi assegnata la prestigiosa quanto delicata nunziatura di Vienna. Ma fu proprio al termine di tale ufficio che si vide nominato all’episcopato leccese, succedendo al Pappacoda. Il passaggio dalla capitale dell’impero austriaco ad una città non ingloriosa ma comunque periferica nel suo sorgere quasi all’estremo lembo d’Italia viene di solito giudicato dagli storici come una vera retrocessione, anche perché di norma i soggiorni viennesi si concludevano, per i nunzi, con la porpora cardinalizia. La studiosa Renata Ago ha però proposto una lettura alternativa dell’evento. L’invio del Pignatelli a Lecce non sarebbe da intendere come una caduta in disgrazia di quest’ultimo negli ambienti della curia apostolica ma piuttosto come un preciso segnale dato alla corona imperiale che, abusivamente, intendeva il cardinalato conferito agli ambasciatori in Austria come un omaggio al proprio trono. In ogni caso, il Pignatelli, pur conservando per circa undici anni la titolarità della cattedra salentina, risiedette nella propria diocesi solo saltuariamente e per brevi intervalli di tempo perché presto richiamato a Roma a svolgere nuove funzioni. Del suo pontificato rimangono memorabili la tenace lotta al nepotismo, decretata con la bolla Romanum decet pontificem, e la solenne celebrazione del Giubileo del 1700 mentre Gregorovius ricorderà, nei suoi scritti, come sia stato l’ultimo pontefice a portare abitualmente la barba.