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Milano ha visto in questi giorni, presso la sede di Immaginaria, un’interessantissima mostra di opere inerenti il barocco andino: angeli armati ed icone della Vergine dai tratti inca hanno attraversato l’Atlantico. Ne abbiamo parlato con il curatore, Filippo Alfieri, scoprendo anche un singolare rapporto tra il Perù e la città di Lecce.

Dott. Alfieri, cos’è il barocco andino?

È bellezza sacrale. Ma, attenzione, qui il discorso è ampio. A lungo il barocco, come epoca storica e stile artistico, è stato vittima di una montagna di pregiudizi. Oggi queste valutazioni così negative sono per lo più superate e negli ambienti accademici come in generale nella società è in corso una rivalutazione. Certo, come tutte le epoche storiche, anche quella barocca ha avuto i suoi lati oscuri ma un mondo capace di produrre figure come Carlo Borromeo, Filippo Neri, Teresa d’Avila o Ignazio di Loyola, giusto per fermarci all’area religiosa, non può essere considerato decadente. Uno dei fenomeni transculturali più interessanti di questo momento storico fu l’incontro tra l’Europa e le civiltà del Nuovo Mondo. Cosa che, senza dubbio, ebbe dei risvolti drammatici ma, restando sul semplice piano artistico, esso permise al barocco mediterraneo, spagnolo e pugliese, di entrare in contatto con le realtà dei popoli amerindi e di unirsi ad esse nel nome della fede cristiana, creando una cultura ed una società nuove, dai tratti inconfondibili. Da questo profondo connubio nacque il barocco andino.

 

Esiste un legame tra il barocco andino ed il Salento?

Assolutamente sì. Non tutti sanno che la scuola pittorica di Cuzco, che rappresenta una delle massime espressioni del barocco andino, ha avuto tra i suoi fondatori Matteo Pérez de Alesio, altrimenti detto Matteo da Lecce (1545-1628). Un grande artista salentino, certo non conosciuto quanto invece meriterebbe. Basti pensare che, durante la sua carriera, realizzò la Disputa sul corpo di Mosè per la Cappella Sistina [si trova nella parete opposta al Giudizio Universale di Michelangelo, n.d.r.] e lavorò per i papi Pio V e Gregorio XIII. Si spostò poi a Malta dove, nel palazzo del Gran Maestro a La Valletta, dipinse gli affreschi che illustrano l’eroica resistenza dei Cavalieri di San Giovanni durante l’assedio dell’isola da parte di Solimano il Magnifico. Infine, varcando l’oceano, si stabilì in Perù, dove rimase sino alla morte.

 

Quali sono i principali temi della scuola cuzqueña?

I temi sono molteplici ma, se vogliamo illustrare i diversi soggetti religiosi, innanzitutto su queste tele compaiono i santi cari alla devozione ispanica, come San Giacomo Apostolo, il santo venerato nel celebre santuario di Compostela, raffigurato di solito in atteggiamento marziale, a cavallo e con spada sguainata mentre travolge un saraceno o San Cristoforo con il tipico Gesù Bambino sulle spalle. Un posto rilevantissimo spetta però alle raffigurazioni della Vergine. Tra le più significative abbiamo la Divina Pastora in trono, un’immagine molto amata, ad esempio, dal popolo venezuelano o la Virgen de los desamparados, la Vergine dei senza riparo, che mostra Maria coprire con il lungo manto due orfanelli. Molto belle sono poi la Madonna della Mercede che reca sul petto l’emblema dei Padri Mercedari e sorregge in una mano le manette, quasi a ricordare la missione di quest’ordine religioso, quella della liberazione degli schiavi, o la Madonna Candelora che mostra un cero acceso. Singolare è infine il soggetto degli Angeli archibugieri, angeli con armi da fuoco, pronti a sparare per difendere i fedeli dal male: un tema che ci fa pensare come il barocco andino altro non sia che un vero regno dei cieli visto dalla terra.

 

                                                                                                                             

 

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