0
0
0
s2sdefault

Lucana di Tricarico, dove era nata il 26 novembre 1879, Anna Antonacci fu figlia adottiva di Lecce, dove visse trentatré anni e dove morì il 7 novembre 1938.

 

 

 

La sua fu una vita luminosa, anche se era cieca dall’infanzia, e fu intrepida e benefica perché, lottando da sola contro incomprensioni, avversità, diffidenze e calunnie, fondò in Lecce, il giorno di San Giuseppe del 1906, l’istituto dei ciechi che accolse i giovani ciechi di ambo i sessi, e provvide gratuitamente alla loro istruzione, educazione ed assistenza.

Educata a Napoli nell’Istituto Principe di Napoli fondato a Piazza Dante da Domenico Martuscelli, che le fu maestro e guida, ebbe a cuore un sogno che si identificò con la missione della sua vita, soccorrere i non vedenti, assisterli, educarli alla vita ed amarli.

Per giungere a questo traguardo, affrontò difficoltà e pericoli, si espose a critiche, ad umiliazioni, a sofferenze, ma, sorretta da una grande fede, mai disperò nel suo intento.

Ottenute dal comune due stanzette a pianterreno di Palazzo Carignani, vi accolse due sorelle cieche ed orfane e tre maschietti e fu a quegli infelici madre tenerissima e guida amorosa.

Le iniziali difficoltà della piccola comunità, bisognosa di tutto poiché di nulla disponeva, non la scoraggiarono, la incitarono, invece, a lottare, a chiedere, a pregare e, alla fine, vinti gli ostacoli, si assicurò il favore delle istituzioni locali, del governo nazionale, del Papa Pio X, del vescovo Gennaro Trama, dell’oculista Gaetano Fiore, da oppositore di Anna Antonacci divenuto presidente dell’istituto che, da lei fondato, si avvaleva di insigni docenti, la cieca Mattia Piccolo, il pianista Vincenzo Pesacane, le sorelle Rosa e Maria Addubbato, entrambe cieche e valenti l’una nel suono dell’arpa, l’altra nei lavori femminili.

Attorno all’istituto, impareggiabilmente diretto dalla Antonacci, ardevano di splendente carità altri istituti per l’infanzia bisognosa, l’opera pia per sordomuti fondata da San Filippo Smaldone e da lui affidata alle Suore Salesiane dei Sacri Cuori, l’Ospizio Garibaldi e l’Istituto Principe Umberto, che accoglievano rispettivamente orfani e trovatelli e ragazze povere, enti ai quali il vescovo Trama non fece mancare il calore della sua protezione.

A Palazzo Carignani, intanto, l’istituto dei ciechi prosperava e progrediva; il 1921 era stato eretto in ente morale e si era allargato occupando altri ambienti del magno edificio nel quale fu istituito il giardino d’infanzia e costruiti laboratori e camerate per gli ospiti che venivano allevati, istruiti e educati ai lavori di ago e di telaio, di confezione di persiane, d’intreccio di ceste, canestre e panierini di vimini, di manifattura di tappeti in cosso e nell’incannatura di sedie.

L’audacia del suo pensiero attirò su quella donna prudente, armata di un esemplare coraggio civile e di una fervida, specchiata carità le attenzioni del governo, che il 1924 la chiamò a far parte della commissione che elaborò la riforma dell’istruzione dei ciechi e la investì di speciali incarichi in seno alla Giunta esecutiva dell’Unione italiana ciechi, alla federazione delle istituzioni pro-ciechi ed all’opera nazionale maternità ed infanzia.

Sensibile al dolore di quanti fossero nella sventura, ne consolò con discreta pietà le pene e ne asciugò le lacrime.

Il 7 novembre del 1938, non ancora sessantenne, si concludeva la sua esistenza terrena che l’Unione italiana dei ciechi volle onorare del bronzeo busto che, dovuto il 1939 a Raffaele Giurgola, ne perpetua nell’istituto che aveva fondato e diretto l’immagine “per l’esempio e la luce che da lei rifulsero nella fede e nell’opera”.

 

Forum Famiglie Puglia