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 La nostra società è orientata verso il presente: oggi tutto è live, in tempo reale, senza un momento di tregua. La speranza è profondamente connessa con la dimensione temporale, sia in una prospettiva diacronica che sincronica.

 

 

Connessioni sempre più veloci, dispositivi sempre più potenti, ritmi comunicativi e flussi informativi sempre più serrati, sembrano determinare automaticamente l’innalzamento dei livelli di performance e la complessità delle capacità gestionali richieste in qualsiasi contesto di azione, sia professionale che personale.

In questo panorama nei primi mesi del 2020 l’emergenza Covid-19 e il conseguente lockdown hanno segnato un’ulteriore e, forse, definitiva trasformazione nel nostro rapporto con il digitale. Connessioni che fino a poco tempo fa apparivano pervasive sono diventate nel giro di poche settimane la norma per poter continuare a lavorare o studiare. Schermi che si sono rapidamente trasformati in finestre e passerelle per poter mantenere o rafforzare relazioni umane e sociali. La tecnologia deve diventare parte costitutiva di un’effettiva cittadinanza digitale.

In questo panorama non avrebbe senso ipotizzare cosa accadrà nel breve e medio termine, ma può essere utile identificare alcuni spunti di riflessione su quello che oramai viene definito l’Umanesimo Digitale.

L’impatto del digitale ormai non va pensato solo in riferimento ad aspetti puramente strumentali o tecnici. Appare necessario ripensare anche al senso stesso dei media che utilizziamo quotidianamente in modo sempre più massiccio.

Le più recenti teorie sulla comunicazione contemporanea concordano sul fatto che i media non siano più semplici strumenti o formati riconoscibili e identificabili di per sé. Viviamo in una società in cui i flussi relazionali e comunicativi ricodificano il senso stesso di identità fisica e sociale, il rapporto con lo spazio e con il tempo, la percezione del presente e del futuro.

Un nuovo umanesimo digitale deve quindi essere capace di trasformare il mero dato quantitativo in riflessione qualitativa.

Essere connessi in modo efficace e coerente contribuisce a orientare in modo virtuoso non solo le percezioni e i comportamenti, ma anche a orientare l’utilizzo del digitale secondo logiche partecipative, accessibili e inclusive, che permettono di rielaborare e trasformare il concetto di multitasking in senso comunitario (Jenkins, 2010).

La pervasività del fattore tempo non può quindi dipendere solo da scelte personali o valoriali, ma va ripensata in una logica di condivisione e di partecipazione.

Su questa linea si sono mossi alcuni ricercatori statunitensi che hanno promosso un vero e proprio manifesto di Umanistica Digitale (Burdick, Drucker, Lunenfeld, Presner, Schnapp, 2014).

Da tempo si parla dell’Intelligenza Artificiale come di una delle questioni chiave del XXI secolo, che potranno trasformare radicalmente il concetto stesso di umano. Il tema della creatura artificiale progettata e prodotta dall’uomo e a sua volta capace di poter superare il creatore per intelligenza, forza e determinazione, affascina o spaventa da sempre l’immaginario collettivo. Dalla fantascienza letteraria e cinematografica degli anni Cinquanta del secolo scorso, alle animazioni giapponesi degli anni Settanta; dall’universo cyborg degli anni Ottanta e Novanta fino a varie serie televisive che oggi non sembrano più profezie fantasiose di un futuro possibile, ma lucide cronache del presente che viviamo, pur stilizzate a fini espressivi e narrativi.

Esattamente come accade con sempre maggiore evidenza per il reale e il virtuale, che sono dimensioni continuamente intrecciate e di fatto non antitetiche, è evidente la necessità di ripensare la presunta antitesi tra la dimensione umana e quella artificiale, imparare a riflettere sulle trasformazioni in atto nel nostro rapporto con la tecnologia digitale. In che cosa è diventata indispensabile? Quando e come possiamo invece tranquillamente rinunciarvi? Quanto sta diventando parte di noi?

L’Umanesimo Digitale deve porsi come dimensione etica che codifica e struttura l’epoca dell’Intelligenza Artificiale (Nida-Rümelin, Weidenfeld, 2019).            L’etica deve prevalere fin dalla progettazione e programmazione di un’Intelligenza Artificiale.

La sfida è quella di saper stare nei flussi del contemporaneo senza essere sommersi, cogliendo non solo gli elementi di innovazione che hanno ormai trasformato le logiche di funzionamento e di significazione del reale, ma anche selezionando le competenze che abbiamo stratificato nel tempo. Di fronte alla trasformazione sempre più veloce del panorama in cui viviamo, in cui il digitale è al tempo stesso causa ed effetto, è opportuno non guardarsi alle spalle con nostalgia o sperare nel domani con cieca fiducia, ma adoperarsi per fornirsi nel presente di mappe adeguate e di prospettive praticabili (Baricco, 2018).

Per trovare una mediazione alta in questa complessa dialettica, può essere utile ripensare radicalmente il nostro rapporto con la comunicazione. Non solo rispetto al “che cosa” o al “come”, ma anche in primo luogo al “perché” e subito dopo al “dove” e al “quando e quanto”. Oggi, in epoca di flussi comunicativi sempre più complessi e incessanti, appare necessario cogliere in che modo la comunicazione possa diventare un’azione strategica e valoriale, capace di mantenere la forte vocazione sociale e collettiva vista in precedenza, senza rinunciare all’originalità e alla specificità di ogni soggetto.

Esprimersi nel digitale significa essere capaci di raccontare, informare, coinvolgere, entrando nell’arena comunicativa in modo originale e responsabile, creativo ed etico.

La capacità di adattare le proprie capacità espressive personali e le competenze comunicative di fronte alle trasformazioni sempre più rapide del presente, appare una condizione necessaria per vivere una condizione di cittadinanza consapevole e attiva.

Parafrasando don Milani, «la lingua che ci fa eguali» è ancora oggi un imperativo primario, una delle sfide chiave che deve essere raccolta da tutto il mondo, con la speranza che l’Umanesimo Digitale si trasformi presto in un vero e proprio Rinascimento.

 

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