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“Innumerevoli donne consacrate, nel corso dei secoli fino ai nostri giorni, hanno orientato e continuano a orientare «tutta la loro vita e attività alla contemplazione di Dio»[1] quale segno e profezia della Chiesa vergine, sposa e madre; segno vivo e memoria della fedeltà con cui Dio, attraverso gli eventi della storia, continua a sostenere il suo popolo”[2].

Così Papa Francesco, nel 2016, scriveva a proposito della vita contemplativa femminile, sulla scia di San Giovanni Paolo II che, riferendosi più in generale alla vita consacrata, dichiarava: “Particolare rilievo ha, nella vita consacrata, il significato sponsale, che rimanda all'esigenza della Chiesa di vivere nella dedizione piena ed esclusiva al suo Sposo, dal quale riceve ogni bene. In questa dimensione sponsale, propria di tutta la vita consacrata, è soprattutto la donna che ritrova singolarmente se stessa, quasi scoprendo il genio speciale del suo rapporto con il Signore”[3].

Da tutto ciò emerge la rilevanza ecclesiale della consacrazione in generale e della consacrazione femminile nella sua specificità.

Dal punto di vista pratico, che cosa comporta tutto ciò? Noi donne consacrate viviamo nella Chiesa: ciò avviene attraverso l’inserimento in una comunità religiosa ben precisa, in una diocesi ben precisa e, dunque, in un luogo e anche in un tempo determinati. Più viviamo concretamente e autenticamente l’appartenenza alla nostra comunità e, in essa, al nostro Ordine o alla nostra Congregazione, più siamo in sintonia con la Chiesa in cui ci troviamo; diversamente, la nostra appartenenza rischia di diventare astratta e disincarnata.

La Chiesa che è in Lecce - particolarmente per noi Monache, che emettiamo voto di stabilità - è nostra Madre e noi, nello specifico del carisma benedettino, la dobbiamo imitare nel suo modo specifico di rapportarsi a Cristo. La Chiesa di Lecce è oggi vivamente invitata a porsi in ascolto della Parola di Dio e a tradurre questo ascolto nella vita quotidiana[4]: così anche noi siamo chiamate a intensificare il nostro rapporto con Dio attraverso l’interiorizzazione della Sua Parola.

E ciò non avviene in modo intellettualistico, ma in modo estremamente concreto, perché “il mistero dell’Incarnazione è la chiave ermeneutica per comprendere lo stile comunicativo del Signore”[5]. Il Verbo si è incarnato una volta per sempre nella storia, ma continua in vari modi a parlarci, scuotendoci dal nostro torpore, grazie alla Scrittura e anche attraverso la voce di tanti fratelli e sorelle – credenti e non credenti – che, spesso in modo inaspettato, bussano alla nostra porta. Sta a noi, di volta in volta, accoglierli con tutte noi stesse, consapevoli che è molto più quello che riceviamo di quanto riusciamo a dare. La Chiesa parla a più riprese del “genio” e della ricchezza femminili[6]: cerchiamo di vivere in pienezza, nella nostra consacrazione, questa chiamata!

 

[1] GIOVANNI PAOLO II, esortazione apostolica post-sinodale Vita Consecrata, 25 marzo 1996, n. 8.

[2] FRANCESCO, costituzione apostolica Vultum Dei quaerere, 29 giugno 2016, n. 3.

[3] Vita Consecrata, n. 34.

[4] Cfr. MICHELE SECCIA, lettera pastorale Ascolta Popolo mio, 2 dicembre 2018.

[5] Ascolta Popolo mio, n. 15.

[6] Cfr. GIOVANNI PAOLO II, lettera apostolica Mulieris dignitatem, 15 agosto 1988, nn. 30.31; GIOVANNI PAOLO II, lettera apostolica in forma di motu proprio Spes aedificandi, 1° ottobre 1999, nn. 3.8.

 

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