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Il 21 Dicembre scorso, Matteo Serafino giovane ventinovenne di Merine, ha raggiunto un traguardo non da poco: ha scalato tutti i 5895 metri del Kilimangiaro, lo stratovulcano in quiescenza situato in Tanzania, Africa orientale.

La sua impresa ha riscosso un enorme successo nelle comunità di Merine e Lizzanello, dove ha vissuto fino al 2013 quando poi, dopo essersi laureato a Parma, per lavoro si è trasferito a Londra dove risiede e lavora ancora oggi in Bloomberg.

Matteo, da dove nasce la passione per le scalate e la montagna?

“La faccio breve: amo gli sport estremi, mi piace mettermi alla prova e all'inizio lo facevo con le immersioni e la pesca subacquea. Poi al presentarsi di uno pneumotorace, ho dovuto abbandonare questo sport e mi sono dedicato inizialmente allo snowboard, che mi ha avvicinato alla montagna. Poi sono passato alle camminate, al campeggio che pian piano, con il costante desiderio di superare i miei limiti, mi ha fatto pensare a quale potesse essere il mio prossimo obiettivo. Ho scoperto il "Club dei Sette", un club in cui entrano a far parte tutte le persone che hanno scalato le sette vette più alte del mondo. Ho iniziato a maturare l'idea di entrare a farne parte e ho iniziato a pensare a quale montagna scalare per prima: il Kilimangiaro. Mi sto organizzando per scalare il Monte Bianco a giungo di quest'anno, una scalata già più impegnativa rispetto al Kilimangiaro. A dicembre sempre di quest'anno invece, l'Aconcagua in Argentina, la vetta più alta del sud-America. Poi man mano fino ad arrivare all'Everest che lascio per ultimo per motivi economici, burocratici e anche per l'esperienza che serve e che spero di acquisire pian piano.”

A casa come hanno reagito?

Gli unici a cui non l'ho potuto dire subito sono stati i miei nonni, perchè già averglielo detto dopo gli ha turbati non poco, immagina quando gli ho spiegato i rischi dello scalare l'Everest. Anche se un pò se lo aspettavano perchè hanno sempre saputo che ho qualche rotella fuori posto ma un pò sono sorpresi perchè non si aspettavano questa passione per la montagna. I miei genitori inizialmente sono anche loro rimasti un pò scioccati, poi quando hanno visto che la notizia è diventata virale hanno iniziato a cambiare idea. Non sono mancate le raccomandazioni ma io sono del parere che il pericolo lo si può trovare anche dietro l'angolo, camminando con la macchina per strada ad esempio.”

Come si è svolta la scalata?

“Il Kilimangiaro è una montagna regolamentare, il governo Tanzaniano non lascia passare chiunque se non accompagnato da una guida che ha passato due esami, uno teorico e uno pratico. Bisogna dimostrare un certo livello di fitness e poi si è accompagnati da uno staff che aiuta nel montaggio delle tende ecc. Poi bisogna passare una serie di controlli per dimostrare di essere in possesso di tutti i permessi necessari. Dopo avermi controllato anche lo zaino, che non può superare un certo peso, abbiamo fatto una camminata di 5 km molto tranquilla, terminata al primo campo base a 2900 metri d'altezza. Precedentemente ho scelto uno dei percorsi disponibili, perché ve ne sono diversi con diversi livelli di difficoltà, diverse lunghezze. Io ho scelto la difficoltà media, indicata in particolare dalla capacità di acclimatazione, il processo che serve al corpo ad abituarsi al clima e all'ossigeno presente ad un certo livello di altezza. Si pernotta ad esempio in un campo che sta a 3850 metri, poi il giorno successivo si fa un giorno di acclimatazione scalando fino a 4600 metri e dopo riscendi per pernottare in un campo di 3900 metri circa. Una parte che mi è molto piaciuta è stata il "Muro del Barranco" un muro di 450 metri circa, in cui scali solo con le mani e che ho raggiunto dopo tre giorni. Il mio percorso la "Lemosho Route", si completa in 8 giorni circa io l'ho completata in 6, saltando 3 campi. L'ultimo campo base è il più difficile, perchè si va a dormire nel pomeriggio con i tappi nelle orecchie e la mascherina, ma in realtà si dorme poco e nulla. Mi sono svegliato all'una di notte per raggiungere il picco sul quale sono arrivato alle 6 di mattina: prima di arrivarci, a circa 4700 metri, molte persone si sentono male per la mancanza di ossigeno e a quel punto sei obbligato a scendere.

Poi si dorme poco, si mangiano sempre le stesse cose e di conseguenza l'appetito inizia a venire meno. La respirazione diventa fondamentale. Insomma la parte più complicata è la fine: lì ho avuto anche qualche momento di cedimento, che mi ha fatto pensare "ma chi me lo fa fare", "non lo faccio più" ma appena finito è passato tutto. Non ero più stanco, la soddisfazione ha preso il sopravvento e ho pensato subito: voglio rifarlo! Il ritorno lo si fa da una pista più praticabile, più liscia tanto che si fa correndo.”

Hai risposto alle tante attenzioni ricevute con un video su Facebook con il quale hai ringraziato tutti e hai anche invitato a fare delle donazioni ad un ospedale pediatrico di Londra.

“Sì. Che poi è uno dei motivi che mi ha portato a scalare la vetta. Mi piacciono tanto i bambini e sembra che io piaccia a loro e il motivo per il quale mi piacciono è perché danno questo amore incondizionato e a Londra c'è questo ospedale pediatrico (Great Ormond Street Hospital and Children's Charity) che aiuta i bambini molto meno fortunati che hanno delle malattie rare. Non solo bambini inglesi ma bambini da tutto il mondo. Ci tengo veramente tanto. Ho iniziato due anni a fare delle raccolte fondi per quest'ospedale, ad agosto 2017 con la "South Coast Challenge" che prevede una corsa di cento chilometri in due giorni sulla costa sud dell' Inghilterra, da Eastbourne ad Arundel. Da qui qualsiasi cosa faccio cerco di collegarla ad una raccolta fondi per aiutare questo ospedale. Anche perché uno dei miei desideri più grandi è una famiglia mia e quindi dei bambini miei anche se trovare una ragazza a Londra è molto complicato!”

Giovanni Paolo II, al quale è dedicata la nuova chiesa di Merine, amava molto la montagna. In Italia è andato più volte sul Monte Bianco e lì si sentiva più vicino a Dio.

“Non lo sapevo ma è vero. La prima cosa che ho fatto quando ero in cima al Kilimangiaro è stato proprio pensare ai miei cari che non ci sono più, diverse persone che non ho più con me e che mi mancano. Quando sarò in cima all'Everest, sarò ancora più vicino a loro e a Dio.”

 

 

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