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La scruti, cercando di comprendere nel fondo dei suoi carezzevoli occhi scuri, rimasti sempre quelli, il mistero di quella sua “mutazione”. Ti spiazza: “Ma che begli occhi che ha, signora”:  lei a te. E quando l’intervista finisce, e i saluti incombono, è lei a chiederti: “Posso baciarla?”. Potenza della fede, capace di smuovere le montagne e di capovolgere il mondo.

Claudia Koll è infatti un’icona vivente del mistero, un monumento alla capacità di Dio di prendere i cuori e di cambiarne per sempre tessuto e storia. E la sua storia - quella di Claudia Koll - è un racconto di quelli che appassionano, considerata la popolarità della musa erotica di Tinto Brass prima e la forza propulsiva dell’anima convertita alla dolcezza della fede dopo.

L’ha già raccontata molte volte, signora Koll, la storia della sua conversione, ma è sempre avvincente da riascoltare.

È accaduto nel 2000, per me l’anno della svolta. Vivevo all’insegna del lusso, del successo e della gratificazione personale: ero io al centro del mondo, e non avevo spazio per la preghiera né per gli altri. Lavoravo e mi divertivo, senza costruire relazioni importanti, né una famiglia. Gli amici erano quelli del lavoro, il mio tempo libero lo passavo con loro. Poi passai sotto la Porta Santa a San Pietro, per il Giubileo...

E fu folgorata come San Paolo sulla via di Damasco?

Non direi. In realtà mio padre e mia madre avevano iniziato a pregare per me da quando ero andata via da casa. Pregavano tutte le sere, sistematicamente, a volte anche piangendo. Papà mi raccontò poi che non avrebbero mai immaginato una conversione così eclatante, perché in realtà avevano chiesto al Signore molto meno. Invece la mia conversione ha toccato i cuori di tanti: i primi tempi andavamo a messa insieme per ringraziare il Signore per questo mio ritorno a casa. Eravamo molti uniti, in famiglia, e mio padre, che è scomparso il 12 giugno scorso, lo diceva sempre: “La mia soddisfazione è che ci vogliamo bene”... Insomma, la conversione non è una caduta da cavallo: in realtà in questi anni ho percepito che Dio cammina con noi anche quando siamo ciechi, sordi ed inconsapevoli. Ci sono passaggi che ci preparano all’incontro con Lui, e ci vuole tanta preghiera. Ma poi Lui arriva.

Anche quando si è peccatori impenitenti?

Lui non ha paura del nostro peccato, qualunque esso sia; Lui benedice ciò che di buono c’è dentro di noi,  e quello diventa il talento che poi ci porta a risalire dagli inferi verso il cielo.

Adesso la sua principale occupazione sono gli altri, invece.

In realtà è sempre stato un po’ così. Una volta in cui giravo un film, durante la discutibile carriera cinematografica in cui utilizzavo il mio corpo, c’era un costumista, un ragazzo svizzero con cui avevo fatto amicizia, che era malato di Hiv. Io venivo da studi di medicina - la mia famiglia ha una grande tradizione al riguardo - e, fresca di libri, compresi il suo dramma, anche perché un giorno stava bene e l’altro male: infatti morì poco dopo. Mi dispiaceva che soffrisse, così durante la lavorazione del film lo invitavo nel mio caravan per farlo riposare e per fargli riprendere un po’ di forza con i succhi di frutta e gli yogurt di cui riempivano il mio frigo, perché ero troppo magra... Aveva bisogno di liquidi, ed io non avevo paura del contagio. Forse sì, sarei stata un ottimo medico, come tutta la mia famiglia.

Probabilmente.

Un’altra volta - e non mi ero ancora convertita - incontrai, a passeggio con un cagnolino, un ragazzo che mi recitò una poesia e mi disse di essere malato di Aids. Mi portò poi davanti al cancello del centro in cui stava - un posto che fece scalpore perché era ai Parioli - e mi disse: “Mi vieni a trovare?”.  Fu, quello, un altro passo dal mondo del cinema, dove tutto è glamour, all’universo della sofferenza,  degli sfregiati nel corpo e nello spirito, perché era tutta gente che veniva dal carcere e dalla prostituzione... Mi accorsi quindi di non poter fare nulla per guarirli, ma siccome ero ricca cominciai a fare shopping non più per me, ma per loro, cosa che faccio ancora oggi. Capi di abbigliamento, per la cura personale... Iniziai insomma ad uscire da me stessa e ad andare verso l’altro, a dimenticarmi di me stessa per occuparmi degli altri. E mi confessai per la prima volta dopo più di venti anni, curandomi con l’Eucarestia e i sacramenti.

Come vive una donna di fede in tempi difficili come questi?

Il Signore mi ha chiamata a testimoniare per portare altri alla fede, per ricordare che dobbiamo confidare in Dio e nella sua misericordia, cosa di cui il mondo ha tanto bisogno. Questo vale per tutti, per noi che stiamo bene come anche per i poveri: loro non hanno bisogno soltanto di un pasto caldo o di un vestito, ma anche di risorgere interiormente, come accaduto anche a me quando ero una figlia prodiga. Ho quindi promesso al Signore di annunciare la bellezza e la verità dell’amore di Dio, cui ho donato anche il mio mestiere: dal 2007, infatti, insegno come si usa la parola e come trasmettere pace e benessere nella comunicazione, usando il respiro e a volte i Salmi, come fanno gli Ebrei. Perché il conflitto, a volte, si ripercuote proprio sulla capacità di parlare: una volta una signora che si bloccava e balbettava sulla parola “acqua”, dopo gli esercizi, arrivò a ricordare che da bambina aveva rischiato di annegare.

 

Le è mai capitato di notare sorrisetti di compatimento dinanzi alla sua pubblica professione di fede?

Non dico il nome del giornale, ma una volta ho fatto un’intervista con un giornalista che credevo amico e che scrisse nel titolo che non avrei più recitato se non in ruoli religiosi: ma io non ho una visione del mondo così ristretta, ho avvertito la chiamata divina, ma non sono una bigotta. Dio si è incarnato per raggiungere tutti, e non ci vuole ipocriti.  Quando Laura Antonelli stava male ed era rinchiusa nella sua casa a Ladispoli io andai a trovarla, e cercavo di darle forza per uscire da quella situazione, ma quando capii che voleva andare per la sua strada ringraziai il Signor per la sua misericordia verso di me e compresi che dinanzi alla sua chiusura potevo solo amarla. E’ il discorso che facevo prima per i senzatetto: devono recuperare la loro dignità, oltre a dargli da mangiare.

Lei è riuscita anche a realizzare un ospedale nel Burundi.

"La Piccola Lourdes" a Ngozi, centro di accoglienza di cura e di riabilitazione per le persone diversamente abili. Ora, purtroppo, la struttura è ferma perché in quella zona c’è la guerra civile e hanno ucciso perfino il responsabile dei nostri sostegni a distanza. Molti dei nostri bambini sono scappati... Ho molto pregato per il destino di quell’ospedale, spero che il Signore voglia aiutarmi.

La Chiesa vive oggi una fase molto difficile della sua esistenza, bombardata com’è da attacchi “ideologici”, ma anche sostanziali, con i cristiani bruciati vivi nei Paesi islamici. Eppure, se a volte non ci fosse la Chiesa - pensiamo al fenomeno immigrazione - molta gente, anche in Italia, sarebbe morta di fame e di sete. Cosa pensa al riguardo?

Questo è il nostro percorso: essere operatori di pace. Identificarci con Gesù ed essere accoglienti con tutti, senza distinzioni, e rispettando le differenze. La Chiesa cattolica è sempre un baluardo: quando è arrivato lo tsunami in Myammar, nonostante si tratti di un Paese musulmano, ha fatto tanto per quel Paese, contrastata anche dalle autorità locali che non volevano che la gente si convertisse perché via del soccorso. L’altro, per noi cristiani, non è mai stato un nemico.

Claudia Koll, oggi, è una donna più felice di prima?

Certamente. Ho una pienezza del cuore che nasce dalla relazione con il Signore, ed è una felicità non effimera. Questo non vuol dire che la mia vita sia tranquilla, anzi, è vero il contrario. Ma, se c’è Dio, tutto il resto passa.

 

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