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“E il giugne e tiene un premio che era follia sperar”: ben si adattano i versi di Manzoni a commento e sintesi del percorso di Sajjad Ahmed.

Dal Pakistan a Lecce, passando per Libia, Lampedusa e Brindisi, un percorso geografico e umano di incognite e sacrifici, fino al traguardo della laurea in ingegneria industriale, conseguita presso l’Università del Salento.

Sajjad, socievole, sorridente, entusiasta, giustamente orgoglioso, arriva in redazione, dove incontra persone che lo conoscono e lo accolgono calorosamente. Lo accompagna Gabriele, 11 anni, suo fratellino del cuore. La sua storia, quasi una fiaba, lo ha posto al centro dell’interesse mediatico; se lo contendono giornali e televisioni locali e nazionali. La Rai lo ha intervistato nel coso del programma “I fatti vostri”; a giugno si parlerà di lui su Rai 2 in un servizio girato a Lecce per la trasmissione “Protestantesimo”, presto sarà ricevuto in Vaticano e altro ancora.

 

Sajjad, la tua è una storia straordinaria, vuoi ripercorrerla brevemente?

Sono originario del Pakistan - racconta Sajjad, 28 anni, con emozione - ma il lavoro di mio padre ha portato la famiglia in Libia. Quando avevo 13 anni i miei sono ritornati in patria e io sono rimasto in Libia da solo, in quanto unico figlio maschio e con sette sorelle. Ho lasciato la scuola e ho iniziato a lavorare per mandare un aiuto economico a casa. Avevo già il sogno di diventare ingegnere che sembrava senza speranza. Per quattro anni mi sono arrangiato come potevo, a volte dormendo sui tetti dei cantieri. Per un anno e mezzo ho lavorato in pieno deserto e ho fatto il piastrellista a Misurata. Nessuno dei lavori però mi permetteva di guadagnare adeguatamente. Così ho cominciato a pensare all’Italia come alla terra promessa. Grazie all’aiuto di parenti e amici, sono partito clandestinamente. Terribile il viaggio: 4 giorni in mare, in pericolo di vita, assistendo a violenze di ogni tipo. Quando sono arrivato a Lampedusa, il 2 ottobre 2007, sono stato mandato, insieme agli altri minori non accompagnati, prima a Brindisi e poi all’Istituto dei Frati Cappuccini Itca di Lecce. Lì posso dire di aver finalmente ricominciato la mia vita.

 

In che modo il centro giovanile dei Padri Cappuccini dell’Addolorata (I.T.C.A.) ha contribuito a questa rinascita?

Il periodo all’I.T.C.A. mi è servito a passare da ragazzo a uomo. I padri sapevano come educarci con cura. Ho iniziato corsi di lingua italiana e di ogni tipo: tornitura, fotografia, matematica. Ogni settimana venivano attribuiti i voti sul comportamento e chi aveva mantenuto una buona condotta riceveva 13 euro. In tutti gli anni trascorsi lì, dal 10 ottobre 2007 al 2013, ho sempre preso il massimo. Quella paghetta settimanale mi serviva per telefonare alla famiglia in Pakistan. Nel centro I.T.C.A. ho conosciuto i miei migliori amici in assoluto.Dal 28 luglio 2008, divenuto maggiorenne, ho cominciato a lavorare presso la stazione di benzina, vicina all’istituto e all’Ecotekne, sede delle facoltà scientifiche dell’Università. Nel frattempo ho frequentato nei corsi serali le scuole medie e le superiori fino al diploma, lavorando al mattino e studiando la sera. Poi nel 2013, quando mi sono iscritto all'università, volevo andare a vivere da solo, ma i padri, temendo che potessi prendere strade sbagliate, hanno parlato con i proprietari della stazione di benzina che hanno subito accettato di accogliermi nella loro casa ed ancora vivo con loro che considero la mia famiglia adottiva. Nel periodo universitario studiavo di giorno e lavoravo di sera, scambiando il turno con i colleghi ed ho sostenuto in italiano esami difficilissimi.

 

 

Hai svolto anche attività di traduttore. Racconta cosa rappresenta questa esperienza che richiede la capacità di far comunicare le culture.

Il mio lavoro di traduttore è stato svolto dal 2008 in vari ambiti: nei tribunali per minori, per il GIP di Lecce, il carcere e diverse comunità di accoglienza. Come dici non si tratta solo di tradurre le frasi da una lingua ad un’altra, ma di far comunicare culture diverse. Io ho l’esperienza di cultura araba/asiatica e di quella europea e so come mettere le persone a proprio agio. Dal 2010 sono iscritto all’Albo dei Traduttori del Tribunale di Lecce.

Parol -chiave: religione. Quali pensieri ti suggerisce? Che posto occupa nella tua vita?

Io sono Musulmano e rispetto le tradizioni della mia religione, ma soprattutto rispetto tutte le religioni che sono la strada verso l’autenticità di un popolo. La mia giornata inizia e finisce con una preghiera e si conclude con la lettura del Corano, di cui ho anche una copia in italiano. Recito cinque preghiere al giorno e rispetto il Ramadan, che sto facendo proprio in questi giorni. Soprattutto cerco di praticare i principi fondamentali comuni a tutte le religioni: il rispetto verso gli altri e l’aiuto alle persone che sono nel bisogno. L’esortazione “fai agli altri ciò che vorresti fosse fatto a te”. è un principio che vale sempre. La fede ci dà la forza interiore, le preghiere fortificano e purificano l’anima. Ogni volta che prego mi sento più leggero, non mi vengono in mente pensieri negativi.

 

Parola-chiave: migrazione. Quali pensieri ti suggerisce in base alla tua esperienza?

Sono emigrato per uscire da una situazione senza speranza e migliorare la mia vita e quella della mia famiglia in Pakistan. Nessuno scappa dal proprio paese, rischiando la vita, se non spinto dalla fame, dalla povertà e dalla disperazione. Ora sto bene in Italia, sono quasi cittadino italiano, e non sento il bisogno di andare via, se non per una vacanza, perché qui sto bene e mi sento realizzato.

Quali sono altre parole chiave della tua vita?

Famiglia, rispetto, amicizia, curiosità, fede e studio.

Famiglia: parlaci della tua o meglio delle tue

Con l’arrivo in Italia ho potuto aiutare la mia famiglia d’origine: due sorelle sono laureate, una studia ingegneria presso l’Università di Tor Vergata a Roma, tre sono sposate. Poi c’è la mia famiglia di adozione che conosco da undici anni e con cui vivo da sei, che mi ha dato lavoro e mi ha considerato come e più di un figlio. Per me Mirella Petrelli e Tonino Dimagli sono come mio padre e mia madre; Francesco Dimagli, loro figlio è un fratello, così sua moglie Angela Vetrugno. I loro bambini Gabriele qui presente, Letizia e Azzurra sono i miei fratelli piccoli; Loretta Cino, la loro bisnonna, è una nonna per me. Non finirò mai di ringraziarli e con loro la mia fidanzata Alessia Benevento che ho conosciuto in università, che ora è in Usa per un dottorato e che, insieme alla mia sorella che studia a Roma, è venuta a condividere la gioia della laurea.

 

Nel tuo racconto colpiscono la pacatezza, la naturalezza e la riconoscenza. Da dove ricavi questa serenità?

Non mi sono mai scoraggiato. All’arrivo a Lampedusa ho avuto un momento di paura e smarrimento: non avevo un soldo, non sapevo cosa aspettarmi, avevo solo tanti pensieri in testa. Ho tuttavia sempre creduto in me stesso e soprattutto c’è una frase, insegnatami da un mio amico indiano, che mi ha sempre accompagnato “se decidi di voler raggiungere un risultato, è tutto l’universo a muoversi affinché tu lo raggiunga”. La fede è il segreto, il punto di arrivo che unisce le religioni; la fiducia che Dio ci mette alla prova, ma non ci abbandona.

Quali i progetti futuri dopo questa laurea conseguita con sacrifici?

Sicuramente proseguire gli studi, continuando a lavorare, poi realizzarmi in un’attività soddisfacente in cui poter impiegare le conoscenze acquisite, formare una famiglia e viaggiare per il mondo. Ho avuto diverse proposte di lavoro, anche importanti. Ho ringraziato e rifiutato subito, perché se rimandi la decisione, il cuore comincia ad avere dubbi e si perde tempo. Inutile andarsene e tornare ad essere disperso. Io spero di realizzare i miei progetti nel Salento che adoro. Ho delle idee e lotterò per realizzarle qui, sfruttando le potenzialità del luogo.

A spiegare il tuo successo quanto hanno contribuito circostanze fortuite, il supporto solidale e la tua determinazione?

L’aiuto degli altri è stato sicuramente importante, ma senza l’impegno personale, pur rimanendo una marcia in più, sarebbe servito a poco. Specialmente i primi anni, ho impiegato tutte le energie a disposizione per percorrere la mia strada. Nonostante avessi la macchina, mi spostavo sempre nello spazio limitato di università, lavoro, casa e la domenica telefonavo in Pakistan. Ora comincio ad andare in giro. Quindi il contributo maggiore lo attribuisco a me stesso, segue immediatamente la rete solidale. Per quanto riguarda la fortuna, sicuramente ne ho avuta tanta, ma posso dire di avere avuto anche molta sfortuna che sono riuscito a trasformare in opportunità.

 

Secondo te, perché la tua storia ha suscitato e suscita tanto interesse?

La mia storia non è solo quella di una persona che è riuscita a migliorare la propria situazione, ma che è riuscita ad integrarsi, soprattutto grazie allo studio, in modo da testimoniare la possibilità di connessione tra culture diverse.

 

A questo punto Gabriele, che pure dice di voler fare l’attore da grande, si lascia affascinare dal giornalismo e propone due domande:

 

GSe avessi i soldi necessari per aiutare tutti i popoli del mondo come li utilizzeresti?

Investirei soprattutto nell’istruzione. La base per avere democrazia sono le scuole; se riempi di soldi una persona, un popolo e non c’è l’istruzione vengono dissipati. Bisogna poi chiedere conto di quello che è stato realizzato: una scuola, un ospedale, un laboratorio di sartoria. L’istruzione è anche la base per creare lavoro.

 

G: Se avessi amici che non si comportano bene, cosa faresti?

Li abbandonerei subito. Di solito a perdere le persone non è la scelta di strade sbagliate, ma di strade facili. Anche a me consigliavano di iscrivermi alla facoltà di lingue, conoscendo già l’arabo e l’inglese. Io ho preferito la scelta difficile: ingegneria. Allo stesso modo si cercano i soldi facili, le scorciatoie.

Il commento di Gabriele lascia piacevolmente stupiti: “Se scegli la strada facile poi cosa guadagni? se scegli la strada difficile, invece, poi sei fiero di te

E dormi bene” - gli fa eco Sajjad.

Siamo orami alla fine di una piacevole conversazione. Sajjed un consiglio per i giovani che oggi sembrano incontrare tante difficoltà?

Vorrei che tutti capissero quanto è importante lo studio per avere un riscatto prima di tutto umano.  Non bisogna essere particolarmente geniali per arrivare alla fine, serve la forza di volontà. Mai smettere di essere curiosi. Personalmente, alla fine dei miei studi continuerò a studiare: non si finisce mai di imparare.

 

Il nostro ingegnere tiene molto ai ringraziamenti.

Voglio ringraziare tutti coloro che mi hanno aiutato e sostenuto, in particolare: la mia famiglia d’origine: papà, mamma e le mie sorelle, la famiglia Dimagli, la famiglia italiana, la mia fidanzata, i padri dell’I.T.C.A., il prof Riccardo Nobile, relatore della mia tesi, l’Università del Salento e in particolare professori, dottorandi, compagni di corso e gli amici  che mi hanno sostenuto, aiutandomi fino a notte fonda per superare, prima i test d’ingresso, poi i passaggi più difficili. Un ringraziamento speciale a Pino Favale, Giancarlo Scorrano, Damiano Mancarella, i colleghi che mi hanno supportato nei turni di lavoro.

 

 

Ad maiora, Sajjad Ahmed, dottore ingegnere, bella persona determinata, riconoscente e coraggiosa!

 

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