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Una serie d’interventi di Papa Francesco riguarda, ormai da diversi anni, la “cultura dell’indifferenza”, che egli, come titolava un mese fa Avvenire presentando una sua catechesi, considera “una malattia da curare”.

 

 

Effettivamente, nella società contemporanea, spesso si afferma una mentalità che spinge solo all’appagamento istintivo del proprio bisogno di felicità, indipendentemente dai valori profondi della persona e da una relazione interpersonale con l’Assoluto e gli altri.

Per cui, tante volte emergono, come sostiene ancora Francesco, “la visione distorta della persona e uno sguardo che ignora la sua dignità e la sua natura relazionale… e fomenta una cultura dello scarto individualista e aggressiva”.

Concetti già proposti con risolutezza dall’Evangelii nuntiandi e dall’Evangelii gaudium.

Occorre, allora, prendere atto che la centralità dell’individuo deve essere affermata nel contesto fondamentale della persona umana, che proprio dal patrimonio culturale e spirituale cristiano concernente l’inviolabilità e la dignità della vita, il ruolo della famiglia e la necessità della solidarietà, tra alimento per la propria realizzazione e gioia.

Francesco sostiene, pertanto, che “La pandemia ha messo in risalto quanto siamo tutti vulnerabili e interconnessi. Se non ci prendiamo cura l’uno dell’altro, a partire dagli ultimi, da chi è più colpito, incluso il creato, non possiamo guarire il mondo”.

Evidentemente, c’è proprio bisogno di una visione dell’uomo fondata su una religiosità incentrata sull’Amore, con una nuova relazione interpersonale. Con Dio e i fratelli.

Don Lorenzo Milani non aveva come motto “I care”, “Me ne importa, mi sta a cuore”?

 

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