Nella sua prima omelia da Pontefice, Leone XIV, dopo una premessa in lingua inglese, ha esordito in lingua italiana: “‘Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente’ (Mt 16,16)”.
“Con queste parole Pietro, interrogato dal Maestro, assieme agli altri discepoli, circa la sua fede in Lui, esprime in sintesi il patrimonio che da duemila anni la Chiesa, attraverso la successione apostolica, custodisce, approfondisce e trasmette”. Per il Papa, quella risposta di Pietro segna tutta la storia della Chiesa, la ragione per cui la Chiesa esiste e opera nel mondo. Gesù, il Cristo è il dono di Dio affidato alla Chiesa per il mondo. Gesù è il tesoro che il successore di Pietro custodisce per il bene di tutta la Chiesa e di cui è chiamato ad essere fedele amministratore.
È interessante cogliere, già in queste prime battute, il tracciato agostiniano che ha strutturato la formazione religiosa e presbiterale di Leone XIV.
L’idea centrale che attraversa la riflessione teologica di Agostino è quella di un Dio che si rivela e il rivelarsi è un donarsi: Dio Dono, un Dio che è Patria ma è anche Via da percorrere, un Deus humilis. Non dimentichiamo che l’umiltà è parte essenziale della regola dell’ordine agostiniano. A un Dio umile deve corrispondere il più possibile una Chiesa umile. Per questo motivo Leone XIV nella sua prima omelia non perde tempo per ribadire che la Chiesa è “faro che illumina le notti del mondo. E ciò non tanto grazie alla magnificenza delle sue strutture o per la grandiosità delle sue costruzioni - come i monumenti in cui ci troviamo -, quanto attraverso la santità dei suoi membri…”.
A me sembra interessante, a questo proposito, le parole di Sant’Agostino in una sua omelia a proposito dello stile che la Chiesa è chiamata ad assumere nell’opera di evangelizzazione: “Se infatti Cristo avesse scelto per primo il retore, questo retore avrebbe detto: sono stato scelto in grazia della mia eloquenza. Se avesse scelto il senatore, il senatore avrebbe detto: sono stato scelto per la mia dignità. Infine, se avesse scelto l’imperatore, l’imperatore avrebbe detto: sono stato scelto in vista del mio potere. Stiano, dunque, calmi tutti costoro e si lascino rimandare a dopo! Stiano calmi! Non saranno scartati né disprezzati ma solo posti in seconda linea, in quanto potrebbero in se stessi trovare come gloriarsi di se stessi. Dice: dammi quel pescatore, dammi quell’illetterato, quell’ignorante; dammi quel tale con cui il senatore non si degna di parlare neppure quando compra il pesce (…) Venga dunque (il pescatore) e questo sia per dare una lezione di umiltà salutare. Venga per primo il pescatore. Per mezzo suo sarà più facilmente guidato l’imperatore” (Sermo 43,6).
La conclusione della prima omelia di Papa Prevost sembra quasi essere l’eco delle parole di Agostino sopra riportate: “un impegno irrinunciabile per chiunque nella Chiesa eserciti un ministero di autorità: sparire perché rimanga Cristo, farsi piccolo perché Lui sia conosciuto e glorificato” Queste parole conclusive dell’omelia illuminano anche il significato che Leone XIV vuol dare all’espressione “essere fedele amministratore” riferito alla sua persona. Anche a questo proposito il Vescovo d’Ippona ha le sue idee su come il vescovo pastore debba porsi nei confronti delle pecorelle di Cristo: “E noi che cosa siamo? Suoi ministri, suoi servitori; perché non è nostro, ma tiriamo fuori dalla dispensa quanto distribuiamo a voi. E anche noi viviamo di essa, perché siamo servi come voi” (Sermo 229/E, 4).
* docente di teologia patristica e direttore della biblioteca Innocenziana