“Cari fratelli e sorelle, buona Pasqua!”. Con questo saluto Papa Francesco si è affacciato brevemente dalla loggia centrale della basilica vaticana, prima della lettura del messaggio Urbi et Orbi (LEGGI IL TESTO INTEGRALE).
Subito dopo, a sorpresa, è salito sulla papamobile ed è uscito dall’Arco delle Campane per salutare i presenti, che erano circa 50mila. È la sua prima uscita in auto scoperta dopo le dimissioni dal Policlinico Gemelli del 23 marzo.
Nel messaggio letto da mons. Diego Ravelli, maestro delle celebrazioni liturgiche pontificie, Francesco ha tracciato una mappa dei drammi che attraversano il mondo, ricordando popolazioni stremate da guerre, crisi umanitarie e violazioni della dignità.
“Vorrei che tornassimo a sperare che la pace è possibile”, ha detto il Papa, rivolgendosi alla comunità internazionale e ai leader politici. Per la Terra Santa ha chiesto “cessate il fuoco, si liberino gli ostaggi e si presti aiuto alla gente, che ha fame e che aspira ad un futuro di pace”. Ha espresso vicinanza ai cristiani in Palestina e in Israele, e rivolto “un pensiero alla popolazione e in modo particolare alla comunità cristiana di Gaza, dove il terribile conflitto continua a generare morte e distruzione”. Ha condannato l’antisemitismo, definendolo un “clima crescente che si va diffondendo in tutto il mondo”. Per l’Ucraina ha auspicato “una pace giusta e duratura”, mentre per il Caucaso meridionale ha chiesto che si giunga “alla firma e all’attuazione di un definitivo Accordo di pace tra l’Armenia e l’Azerbaigian”. Ha poi citato Siria, Yemen e Libano, invitando “tutta la Chiesa ad accompagnare con l’attenzione e con la preghiera i cristiani dell’amato Medio Oriente”. Ha rivolto un pensiero al popolo del Myanmar, “già tormentato da anni di conflitto armato”, colpito dal terremoto a Sagaing. Il Papa ha indicato il Sahel, il Corno d’Africa e la regione dei Grandi Laghi tra le aree segnate da instabilità e violenza, ricordando “i cristiani che in molti luoghi non possono professare liberamente la loro fede”.
Il passaggio più netto è stato riservato alla condanna della corsa agli armamenti: “Nessuna pace è possibile senza un vero disarmo. L’esigenza che ogni popolo ha di provvedere alla propria difesa non può trasformarsi in una corsa generale al riarmo”.
Ha quindi invitato a impiegare le risorse per “aiutare i bisognosi, combattere la fame, promuovere lo sviluppo integrale della persona umana”. All’interno dell’Anno giubilare, Francesco ha rilanciato l’appello per la liberazione dei prigionieri di guerra e dei detenuti politici, sottolineando che “non venga mai meno il principio di umanità come cardine del nostro agire quotidiano”. Ha denunciato i conflitti che colpiscono i civili, gli attacchi a scuole e ospedali, e le continue violazioni dei diritti umani fondamentali. Il Pontefice, inoltre, ha chiesto che la comunità internazionale non si lasci guidare dalla paura, ma dalla solidarietà e dalla responsabilità condivisa verso i più deboli: “Faccio appello a tutti quanti nel mondo hanno responsabilità politiche a non cedere alla logica della paura che chiude, ma a usare le risorse a disposizione per aiutare i bisognosi, combattere la fame e favorire iniziative che promuovano lo sviluppo”.