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È la Domenica delle Palme e il Vangelo di oggi è definito come “Vangelo della Passione”: il brano riguarda l’intero racconto della Passione del Signore, dalla cena alla morte in croce.

 

 

 

 

“Passione” è un termine ricco di significati. Il vocabolario italiano afferma che può significare sofferenza fisica; ma anche sofferenze con riferimento alle sofferenze e crocifissione di Cristo. Anche il vocabolario riserva alla Passione di Cristo un suo posto proprio, con caratteristiche umane, etiche, storiche e teologiche originali. Eppure, mi chiedo: cosa può insegnare la Passione di Cristo alle nostre passioni? Guerre crisi politica ed economica in primis.

È una domanda quasi retorica, quasi inutile: ogni momento della vita del Cristo, ogni sua parola ha sempre qualcosa da insegnarci. Allora provo ad evidenziare qualche atteggiamento rilevante, che possiamo ricondurre anche alle nostre piccole e grandi passioni.

Gesù entra in Gerusalemme, luogo della sua passione, cavalcando un puledro. Immediatamente la scelta ci fa pensare a un atteggiamento umile, anche se, nella tradizione ebraica, la cavalcatura ha anche un riferimento al re che inaugura tempi di pace; un re che è “giusto, vittorioso, umile e cavalca un asino, un puledro figlio d’asina” (Zc 9, 9). Del resto, la gente lo acclama dicendo: “Benedetto colui che viene, il re, nel nome del Signore. Pace in cielo e gloria nel più alto dei cieli!”. Desideriamo e chiediamo la pace più profonda quando viviamo sia le passioni fisiche che quelle sentimentali? Cosa significa, oggi, per noi, desiderare la pace per il popolo ucraino e palestinese e per tutti i popoli martoriati dalla guerra?

Gesù va verso la sua passione, morte e resurrezione in umiltà e in pace con se stesso e gli altri. Sia le passioni fisiche che quelle sentimentali possono, per diversi motivi, farci perdere la testa. Non è e non sarà mai facile da capire. A noi risulterebbe difficile, ma molto difficile, camminare verso la condanna in umiltà e pace. Per spiegarmelo, non riesco a pensare ad altro, se non al suo profondo abbandono nelle mani del Padre. Del resto, la regia è proprio del Padre, che accompagna e sostiene suo Figlio fino al dono supremo. 

Dolori e amori attirano non solo consenso ma anche rifiuto e separazione. Sono i torti che riceviamo nella nostra vita. Essi non sempre ci ispirano umiltà, né tanto meno ci fanno rimanere in pace. I torti, anche se molto più piccoli di quelli di Gesù (perché lui senza colpa, noi invece con tanti peccati), ci producono astio, vendetta, odio, ribellione e quant’altro. È così, non sempre, ma molto spesso. Allora questo ingresso di Gesù è un’icona da contemplare continuamente per imparare ad abbandonarsi a Lui, nonostante i torti e le varie contrarietà, nonostante il dolore fisico o il turbine delle tante passioni. 

Chi è sinceramente umile - ha scritto Thomas Merton - “è in grado di comprendere chiaramente che ciò che è utile per lui può essere inutile per chiunque altro e che ciò che aiuta gli altri a diventare santi lo può rovinare. Ecco perché l’umiltà ingenera un profondo raffinamento dello spirito, una pace, un tatto e un buon senso senza i quali non può esservi sana moralità”. 

 

*presbitero della diocesi di Bari-Bitonto; docente di filosofia politica, Pontificia Università Gregoriana, Roma.

 

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