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La pubblicazione ormai prossima della terza edizione tipica del Messale Romano segna un punto fondamentale sia nella storia dell’attuazione pratica dei principi teologico-liturgici del Concilio Ecumenico Vaticano II sia nell’evoluzione redazionale di un libro liturgico che, in continuità con l’antica ed ininterrotta tradizione della Chiesa, ha offerto e continua ad offrire una rinnovata comprensione del mistero eucaristico, tanto sotto il profilo dei contenuti teologico-ecclesiali quanto nei suoi peculiari ordinamenti liturgico-rituali.

Nella prospettiva di una maggiore intelligenza della celebrazione eucaristica, la terza edizione tipica del Messale offre, rispetto alle edizioni precedenti, non poche novità, tra le quali spicca la cosiddetta “orazione sul popolo”, presente in ognuno dei formulari del tempo quaresimale.

Si tratta del recupero di un elemento eucologico e rituale antico che, presente nelle edizioni del Messale anteriori al 1970, si rivela come un fattore positivo in vista di una maggiore comprensione del tempo liturgico della quaresima.

Contrariamente a Milano, dove l’oratio super populum indica la preghiera equivalente alla colletta romana, Roma ha conosciuto e conosce ancora una orazione sul popolo, ma alla fine della Messa come elemento dei riti di conclusione.

Questa orazione ha conosciuto diversi mutamenti riguardo al suo specifico uso, così come attestato dagli antichi Sacramentari.

Nel Sacramentario Veronese, dove si trova la collezione più antica e più ricca di orazioni romane super populum, questa orazione, che è presentata senza alcun titolo, sembra essere parte essenziale della struttura ordinaria della Messa, tanto nel santorale quanto nel temporale.

Nel Gelasiano, denominata generalmente ad populum, si trova a Natale e nell’ottava, Epifania, Settuagesima, Sessagesima, Quinquagesima, domeniche e ferie di quaresima, giovedì santo, tempo pasquale, Ascensione, Pentecoste, Quattro tempora, Messe rituali, Messe quotidiane. Tale orazione non è rinvenibile nelle feste dei Santi, eccetto nelle tre feste che seguono il Natale.

Il Gregoriano, classificandola come super populum, la conserva solo nei formulari delle ferie di quaresima, contribuendo così ad attribuirle un carattere prevalentemente penitenziale. Tale particolare presenza ristretta della super populum nel periodo quaresimale è attestata anche nel Missale Romanum tridentino.

Da questo rapido excursus si evince che l’orazione sul popolo, da elemento costante della Messa, così come appare nel Veronese, si andò via via riducendo nel Gelasiano, per essere relegata, nel Gregoriano, alle sole ferie del periodo quaresimale.

Quali sono le caratteristiche strutturali di questa orazione? Le tre orazioni sacerdotali della Messa, ovvero la Colletta, Sulle offerte e Dopo la comunione, presentano una caratteristica strutturale comune: la domanda è formulata a nome della comunità intera, compreso il celebrante che recita la preghiera. L’orazione è formulata nella prima persona plurale, per cui il celebrante non si separa da coloro per i quali chiede il soccorso divino, ma vi è implicato come presidente dell’assemblea.

La super populum si presenta, invece, come una preghiera che il sacerdote rivolge a Dio per l’assemblea, della quale egli non si considera esplicitamente come membro. Collocato al di sopra della comunità sulla quale implora l’aiuto di Dio, egli appare come l’intermediario, il mediatore tra Dio e i fedeli, formulando la preghiera nella seconda persona plurale. Questa legge stilistica costituisce un criterio con il quale si può riconoscere l’oratio super populum primitiva o antica e distinguerla dalle altre orazioni della Messa.

Oltre alla struttura è necessario cogliere anche quelle che sono le particolarità del contenuto di questa orazione.

Anzitutto va rilevato che i beneficiari della preghiera sono spesso denominati con il termine populus, con il quale si intende in senso lato tutta la comunità cristiana o in specifico l’assemblea che partecipa alla celebrazione eucaristica.

Lo scopo dell’orazione è quello di implorare la benedizione divina sull’assemblea, tanto da attribuire comunemente all’orazione il valore e il nome anche di “benedizione” nel senso proprio.

Al riguardo, sono utilizzati termini che sottolineano la durata o la continuità della benedizione richiesta, per cui, come preghiera finale, essa si proietta al di là della concreta celebrazione, raggiungendo il vissuto concreto del cristiano, il corso quotidiano della sua vita, le concrete necessità sulle quali è necessaria la benedizione e il soccorso di Dio.

L’oggetto della petizione, poi, si estende a tutta la gamma di beni di ordine sia temporale sia spirituale, necessari per condurre una vita autenticamente cristiana: purificazione dell’anima, remissione delle colpe, rinuncia al peccato, esercizio delle buone opere, pratica delle virtù, progresso nella vita spirituale, perseveranza finale.

Infine, l’orazione sul popolo, mentre attesta frequentemente le disposizioni interiori e le attitudini esteriori di coloro che ricevono la benedizione di Dio, chiede l’intervento divino sul popolo che si prepara alle feste pasquali e che la sua efficacia raggiunga il vissuto quotidiano del credente.

Le orazioni sul popolo costituiscono una buona opportunità di catechesi per il popolo di Dio, specialmente nel periodo della quaresima, tempo di lotta spirituale più intensa, che ha bisogno di maggiori benedizioni da parte di Dio.

In attesa, dunque, di poter utilizzare la nuova edizione italiana e poter usufruire del suo ricco patrimonio eucologico, cresce sempre di più la consapevolezza che il Messale rimane il primo ed essenziale strumento per la degna celebrazione dei santi misteri oltre che il punto di riferimento solido per una efficace catechesi liturgica. I vescovi italiani auspicano il rilancio di una pastorale che valorizzi la conoscenza e il saggio utilizzo del Messale sia nell’ambito della celebrazione sia in quello dell’approfondimento nella mistagogia, per evitare “la stonatura di ogni protagonismo individuale, di una creatività che sconfina nell’improvvisazione, come pure di un freddo ritualismo, improntato a un estetismo fine a se stesso”.

Nel momento in cui la Chiesa italiana si interroga su come ripensare la trasmissione della fede in un contesto sociale e culturale sempre più secolarizzato, i vescovi indicano come itinerario quello mistagogico seguito dai Padri del IV-V secolo, il cui contesto ricalca quello della nostra società post-moderna, capace di ricomporre l’unità tra fede, celebrazione e vita.

 

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