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Fin dai tempi di San Gregorio Magno (590-604), il mercoledì dopo la domenica di quinquagesima inaugura il digiuno quaresimale, perciò viene anche chiamato in capite ieiunii. A differenza del digiuno nel Triduo Pasquale che è segno di partecipazione alla morte del Signore, quello d’inizio Quaresima è espressione di penitenza e di volontà di conversione.

 

Secondo il Codice di Diritto Canonico (cann. 1249-1253), tutti i fedeli cattolici sono tenuti al digiuno e all’astinenza dalle carni in queste due occasioni.

Con la nota pastorale “Il senso cristiano del digiuno e dell'astinenza” datata 4 ottobre 1994, la Conferenza Episcopale Italiana ha precisato e stabilito per l’Italia che:

“1) La legge del digiuno «obbliga a fare un unico pasto durante la giornata, ma non proibisce di prendere un po' di cibo al mattino e alla sera, attenendosi, per la quantità e la qualità, alle consuetudini locali approvate».

2) La legge dell’astinenza proibisce l’uso delle carni, come pure dei cibi e delle bevande che, ad un prudente giudizio, sono da considerarsi come particolarmente ricercati e costosi.

3) Il digiuno e l’astinenza, nel senso sopra precisato, devono essere osservati il Mercoledì delle Ceneri (o il primo venerdì di Quaresima per il rito ambrosiano) e il Venerdì della Passione e Morte del Signore Nostro Gesù Cristo; sono consigliati il Sabato Santo sino alla Veglia pasquale. […]

5) Alla legge del digiuno sono tenuti tutti i maggiorenni fino al 60° anno iniziato; alla legge dell’astinenza coloro che hanno compiuto il 14° anno di età.

6) Dall’osservanza dell’obbligo della legge del digiuno e dell’astinenza può scusare una ragione giusta, come ad esempio la salute. […]” (n. 13).

Concludendo la nota, i Vescovi italiani ricordano che: “I cristiani, partecipi per la grazia del Signore alla vita e alla missione della Chiesa, possono e devono dare un contributo originale e determinante, non solo all’edificazione del Corpo di Cristo, ma anche al benessere spirituale e sociale della comunità umana. Tale contributo è offerto anche dal loro stile di vita sobrio e talvolta austero: così diventano costruttori di una società più accogliente e solidale, e fanno crescere nella storia quella «civiltà dell’amore» che trova il suo principio nella verità proclamata dal Concilio con le parole: «L’uomo vale più per quello che è che per quello che ha»” (n. 17).

 

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