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“Fratelli e sorelle, come per i magi, così per noi: il viaggio della vita e il cammino della fede hanno bisogno di desiderio, di slancio interiore. A volte noi viviamo uno spirito di ‘parcheggio’, viviamo parcheggiati, senza questo slancio del desiderio che ci porta più avanti”.

 

 

 

“Ci fa bene chiederci: a che punto siamo nel viaggio della fede? Non siamo da troppo tempo bloccati, parcheggiati dentro una religione convenzionale, esteriore, formale, che non scalda più il cuore e non cambia la vita? Le nostre parole e i nostri riti innescano nel cuore della gente il desiderio di muoversi incontro a Dio oppure sono “lingua morta”, che parla solo di sé stessa e a sé stessa?”.

Parole forti pronunciate dal Papa il 6 gennaio scorso. Un invito accorato a stimolare il desiderio di muoversi incontro a Dio, per contrastare lo spirito parcheggiato, lasciarsi spiazzare da Gesù, dalla gioia dirompente e scomodante del Vangelo, ed evitare la scomparsa del desiderio di Dio. Smuovere e ravvivare le persone chiuse, le comunità chiuse, i vescovi chiusi, i preti chiusi, i consacrati chiusi.

Le cronache dell’accoglienza ai parroci sottolineano l’entusiasmo con cui, nonostante mascherine e posti distanziati, le comunità si sono strette attorno ai loro preti, con una bella testimonianza unita certamente alla riconoscenza per un servizio raro, al centro di un ripensamento: per il contesto e per il ruolo.

“Non siamo nella cristianità, non più. Oggi non siamo più gli unici che producono cultura, né i primi, né i più ascoltati”, ha constatato a proposito Papa Francesco nel recente richiamo alla Curia romana per una “conversione pastorale” che passa anche attraverso il ruolo del presbitero.  “Collaboratore della gioia”, come ama ripetere il nostro vescovo, in una reale corresponsabilità con i laici: anche a loro è chiesto di favorire il rinnovamento nei presbiteri, che non è di identità, ma principalmente di stile relazionale, condividendone fatiche e soddisfazioni. Con amicizia sincera, senza atteggiamenti ossequiosamente clericali quindi, per preservare quel benessere spirituale e psicologico del prete che oggi è uno dei motivi che “frenano” giovani affascinati dal Vangelo e dai suoi testimoni, ma demotivati nel vedere troppi sacerdoti stressati o chiusi, lamentosi e insoddisfatti.

“Sono necessarie da parte delle diocesi e dei loro pastori scelte coraggiose e impopolari - scrive il vicepresidente della Cei, mons. Erio Castellucci nella prefazione al libro di Enrico Brancozzi ‘Rifare i preti. Come ripensare i Seminari’ - per semplificare le strutture, alleggerire il peso burocratico, amministrativo e gestionale che grava sui parroci, rilanciare in maniera sinodale gli organismi di partecipazione, per dedicarsi con maggiore entusiasmo alla Parola di Dio, alla crescita delle persone e delle comunità, all’aggiornamento e alla preghiera e a dosare meglio i tempi del riposo e dell’azione. E aiuta coloro che si orientano a diventare preti a ridurre i loro timori verso il futuro, perché vedono che non è solo possibile, ma anche appassionante, dedicarsi totalmente all’edificazione della comunità cristiana, mantenendo lo spessore umano e la fede, nella consapevolezza di essere, sì, minoranza: ma ‘minoranza creativa’ (Benedetto XVI)”.

Se il Sinodo sulla sinodalità (ottobre 2023) sarà un confronto trasparente e onesto fra tutte le componenti della Chiesa su queste questioni sottolineate da Papa Francesco, allora sì, ci sarà una vera svolta. Ma deve essere un Sinodo autentico, libero e sincero.

 

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