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Edgar è un uomo d’origine ecuadoriana, che da diverso tempo fa parte della grande famiglia della Casa della carità.

 

 

 

Inizialmente ai miei occhi è apparso come un uomo serio e introverso, ma che poi si è rivelato un’interessante scoperta, indice del fatto che è importante mettere da parte il pregiudizio per permetterci di incontrare “gli altri”.

Nato e cresciuto in Ecuador, in gioventù ha frequentato l’università nella facoltà di lingue, studiando francese ed inglese e da lì deriva il suo tenerci particolarmente ad esse, soprattutto alla sua, lo spagnolo.

Da poco tempo, sta studiando anche l’italiano ed io invece, ho iniziato a studiare lo spagnolo, e il che potrebbe risultare una simpatica coincidenza.

Il mio iniziale timore di avere difficoltà di comprensione, si è tramutato in un incontro di scambio dove l’uno spiegava le differenze tra una lingua e l’altra. Edgar comincia a sorridere, mostrandosi soddisfatto nello spiegarmi tutte queste cose e da lì deduco che sia un uomo dotato di grande intelletto e profonda cultura.

Edgar però ha conosciuto anche il dolore, quel tipo di dolore che ti schiaccia e che ti mette diversi ostacoli dinanzi, spiegandomi che una persona un giorno può trovarsi in un punto, un altro giorno in un altro ancora venendo meno quella stabilità utile a tutti.

Mentre lo faceva, prendeva dei pennarelli, poggiandoli sul tavolo e spostandoli a piacimento. Poi ne prende uno, estrae il tappo, indicandomi con ciò che gli equilibri familiari o personali possono spezzarsi da un momento all’altro, come se alla base di tutto, ci fosse un crudele destino.

Nel suo modo originale e a tratti bizzarro di raccontarmi ciò, stava delineando con affascinante semplicità, una situazione che sfortunatamente vivono al giorno d’oggi numerose persone.

In “Casa”, lui svolge le diverse attività ricreative e attualmente sta partecipando a un progetto teatrale dove il suo compito è quello di leggere una parte e da lì ho colto l’occasione per chiedergli quale fosse il rapporto con i giovani che giungono qui, un argomento a cui tengo particolarmente, chiedendogli se stesse svolgendo anche con loro questa attività.

Mi risponde che molto spesso ha a che fare con tanti ragazzi, aiutandoli ad esempio con l’apprendimento del linguaggio evidenziando il fatto che tendono spesso a fare affidamento alla memoria, dimostrando di averne una di ferro, anche se per lui è giusto ricorrere a uno studio adeguato e graduale, da buon “maestro” quale è.

Poi siamo giunti a parlare di un argomento molto attuale ovvero l’uso incessante dei cellulari, che seppur strumenti di grande utilità, si sono rivelati i principali elementi di divisione tra persone, oramai rapite da tutti i contenuti presenti in questi ultimi.

Questa nuova realtà, ha fatto sì che le persone dimenticassero le bellezze varie che ci riserva il mondo, tra cui una molto preziosa, la condivisione, che sia un pranzo in famiglia all’insegna della convivialità o una partita a nascondino con gli amici. E’ giunto alla conclusione che durante la sua epoca, i genitori si trovavano costretti a chiamare i ragazzini mentre erano fuori a giocare, per il pranzo, mentre ora invece devono in qualche modo far smettere ai loro stessi figli di giocare con i telefonini, quegli stessi strumenti che hanno loro consegnato come “sintesi educativa” enfatizzata da un fervente desiderio di comodità, che spodesta, l’impegno di giocare e comunicare insieme.

 

 

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Se ora, una volta che abbiamo ricevuto il piatto in tavola, accorriamo a prendere il nostro cellulare per scattare una foto e postarla su Instagram, anni prima, ricevendo il piatto in tavola, ci si limitava a dire grazie, pieni di contentezza, questo riferitomi da Edgar stesso.

“Sono le piccole cose, quelle più semplici a riempirti di allegria e di gioia, facendoti sentire ricco, anche se con poco” mi dice, mentre stringeva la sua cartellina color arancio piena di fogli.

Prima di andarmene gli chiedo quale fosse il suo colore preferito, perché a parer mio i colori che scegliamo rivelano la nostra personalità, il nostro modo di essere.

Da persona inquadrata e precisa, mi dice che il colore che cattura la sua attenzione è il bianco, il quale non solo rappresenta il candore e la purezza, ma anche la stabilità, la pulizia e l’ordine, cose da lui molto apprezzate. Edgar è stata un’occasione di netto interscambio dove c’è stato il modo di metter fuori tematiche, varie conoscenze con i rispettivi punti di vista, un’occasione per donare e ricevere qualcosa, un foglio bianco in cui dentro c’è arte, il principale strumento secondo lui per potersi esprimere e non chiudere in sé stessi.

 

 

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