Le parole di Sant’Agostino impresse sull’immaginetta dell’ordinazione sacerdotale di Prevost, avvenuta il 19 giugno 1982 nella cappella di Santa Monica, dove ha sede anche l’Augustinianum, per una bella coincidenza, fanno parte di un capitolo, intitolato “Il servizio della Parola” di un mio libretto: Pastori per servire. Il contemplativo che diventa vescovo. L’esperienza di Agostino (Edizioni Vivere In, 2010).
Ecco il testo dell’immaginetta: “Per me sfamare tutti voi con del pane comune è qualcosa che non posso fare. Ma questa Parola è la vostra porzione. Vi nutro dalla stessa mensa che nutre me. Sono il vostro servo” (Sermo 339).
Il Sermo 339, da cui il giovane Prevost ha tratto le parole guida del suo sacerdozio, nel mio libro è citato più volte. Si tratta di un’omelia che Agostino ha tenuto ad Ippona forse in occasione dell’anniversario della sua ordinazione episcopale in una data che è difficile fissare con certezza. Ciò che invece è certo che si tratta di un testo dove il vescovo d’Ippona confida ai suoi fedeli la bellezza e nello stesso tempo la tremenda responsabilità che egli sente nell’esercizio della predicazione, che per lui equivaleva a distribuire cibo.
Agostino aveva intrapreso il ministero di predicatore superando non poche difficoltà, non certo sul piano “professionale” del saper parlare, quanto piuttosto sul piano esistenziale. Egli dopo la conversione si era dato alla vita contemplativa e, in sintonia con la tradizione plotiniana, aveva considerato il discorso quasi un’apostasia dell’anima. E questo suo modo di sentire prima dell’ordinazione sacerdotale lo manifesta proprio nel Sermo 339, donde Prevost ha attinto le parole guida del suo ministero a cui aggiunge le seguenti parole:
“Appena mi astenessi dal donare e conservassi il deposito, ecco a spaventarmi il Vangelo. Potrei dire infatti: Perché devo essere severo con gli uomini? dire agli ingiusti: non comportatevi da malvagi, così dovete vivere, così dovete operare, smettete di comportarvi così. Perché devo essere un peso per gli uomini? Ho ricevuto una norma di vita: posso vivere come mi è stato ordinato, come mi è stato consigliato. Voglio mettere sotto sigillo ciò che ho ricevuto: perché devo render conto degli altri? Mi spaventa il Vangelo. Infatti non mi farei superare da nessuno in questa sicurezza della quiete assoluta: niente di meglio, niente di più dolce che spingere e muovere lo sguardo all'interno del deposito divino, cessando il rumore all'intorno: questo è dolce, questo è buono; al contrario, predicare, convincere di errore, riprendere, favorire un più alto livello di fede, darsi pensiero di ciascuno individualmente, ingente carico, grande peso, immane fatica”.
Le parole che Prevost ha preso in prestito da Sant’Agostino manifestano il grande senso di responsabilità con cui il vescovo d’Ippona considerava la predicazione, vale a dire, il trasmettere la Parola di Dio solo dopo averla assimilata profondamente nel proprio cuore e averla trasformata in cibo, al quale pastore e fedeli attingono insieme. La frase finale della citazione “Sono il vostro servo”, viene ripresa da Agostino più volte per indicare la modalità con cui avviene il servizio della Parola, tale e quale al servizio della mensa materiale, dove i convitati, i fedeli, sono serviti dai pastori che fungono da camerieri. Un’immagine quella del cameriere, che fa impressione e a prima vista sembra svilire il ministero presbiterale, ma alla quale Agostino è rimasto fedele in tutti i circa quarant’anni di ministero pastorale. Alla luce del testo agostiniano impresso nell’immaginetta del novello sacerdote Prevost diventano ancora più efficaci le parole della Presbiterorum ordinis: “Il popolo di Dio viene adunato innanzitutto per mezzo della parola di Dio vivente, che tutti hanno il diritto di cercare sulle labbra dei sacerdoti” (n.4).
*docente di teologia patristica