Scritto per essere cantato, e per questo Cantico, perché solo la liberazione della voce in una musica che oltrepassi le retoriche letterarie e che si lasci trasportare dall’ “aere” e da “frate sole” potrebbe comunicare l’indicibile.
L’ottavo centenario di quel Cantico, secondo alcuni studiosi composto a San Damiano nella primavera del 1225, per altri iniziato però nell’inverno dell’anno precedente è inziato ieri. L’omaggio floreale al corpo di San Francesco e la benedizione da parte dei Ministri generali del Prim’Ordine francescano si è conclusa nella Basilica di San Francesco la celebrazione di inaugurazione. Avvenuta in concomitanza con la Giornata internazionale del Grazie, la chiusura è stata accompagnata dall’esecuzione, da parte della Cappella musicale della Basilica di San Francesco e della Corale Porziuncola, del Cantico delle Creature nella versione musicale di Padre Domenico Stella.
Il primo momento di preghiera si è svolto presso il santuario francescano di San Damiano, mentre il secondo nella chiesa concattedrale di Santa Maria Maggiore/Santuario della Spogliazione. Agli 800 anni del Cantico delle Creature è dedicata una sezione del numero di gennaio della rivista San Francesco Patrono d’Italia, disponibile da oggi. La giornata, infine, è stata l’occasione per chiedere una prima valutazione del cammino dei centenari francescani e alcuni input per l’anniversario del Cantico di Frate Sole a Fra Carlos A. Trovarelli, Ministro generale dell’Ordine dei frati minori conventuali. Per l’occasione è stato annunciato anche il podcast “Parole povere” prodotto dai frati del Sacro Convento, che sarà inaugurato il 22 gennaio prossimo alle 18.30 sulle principali piattaforme e che avrà inizialmente una cadenza quindicinale.
Che sia stato composto in uno o in due (secondo altri tre) diversi momenti, il Cantico di Frate Sole rappresenta un riferimento continuo per credenti - e non - di tutte le fedi, perché Francesco ha compiuto un passo fondamentale verso l’abolizione delle frontiere razziali e culturali.
Da una parte la comunione con la natura sentita come dono divino ha fatto comprendere che tutti, a prescindere dal colore della pelle, hanno diritto ad abitare la grande casa che ci è stata donata; d’altra nel Cantico c’è una sorta di tacito ma profondo invito ad una nuova modalità di intendere la letteratura e l’arte: non solo e non più autocompiacimento e culto della bella forma, ma ispirazione dettata dall’abbandono alla vera bellezza.
E in realtà non è stata una lezione ignorata: per la prima volta un esempio umano e poetico è stato condiviso, elaborato, citato, ripercorso da scrittori e artisti lontanissimi tra di loro. Gabriele D’Annunzio, uno dei protagonisti dell’estetismo di primo Novecento, ha attinto a piene mani dal Cantico, tanto da citare esplicitamente alcune sue parti nella “Sera fiesolana”: “Laudata sii pel tuo viso di perla/ o Sera”. Per non parlare di Hesse, da giovane preda di dubbi e di incertezze, che compie due viaggi ad Assisi nei quali resta abbagliato dalle testimonianze di un uomo che considerò guida nel “peregrinare degli uomini nelle tenebre”.
E dovremmo ricordarci anche di un particolare purtroppo dimenticato, quello delle pagine terminali di “Uno nessuno e centomila” del laicissimo Pirandello, in cui il ricco protagonista si spoglia di tutto e dona, attraverso la mediazione della chiesa, i suoi averi ai poveri, facendo costruire un ospizio e chiedendo di esservi accolto come povero tra i poveri. Qui finalmente conosce la verità attraverso il contatto con la natura, con l’alba, il sole, le “nubi d’acqua”, i fili d’erba. Un nuovo battesimo, un nuovo nome e una nuova vita in un ambito apparentemente non religioso ma che non riesce a nascondere la fascinazione delle lodi di un creato vissuto in prima persona.
Senza dimenticare il Pascoli di “Il fanciullino” che rimproverava un’umanità alla ricerca di emozioni e vizi, dimentica della bellezza delle piccole cose, dei “fiori e degli uccelli, che sono de’ fanciulli la gioia più grande e consueta”, confessando il desiderio di essere tutt’uno con gli steli e i petali dei fiori.
La domanda rimane sempre la stessa, ossessiva, affascinante e incoraggiante, perché la sua sola formulazione abbatte le leggi dei mercati di ogni tempo: perché il Cantico è rimasto per sempre nella storia della letteratura e della cultura, quando chi l’ha creato aveva deciso di sparire proprio a quel mondo che invece continua a proporlo a scuola e nell’olimpo dei classici?
Chi scrive è convinto che non ci sarà mai una risposta, perché quel Cantico va oltre ogni catalogazione e moda, perché è la semplice, autentica testimonianza di una fusione completa tra vita e parola. Per questo rimane tra i tesori autentici custoditi non solo nei libri, ma soprattutto nei cuori. E nelle radici.